di Vito  Pirrone

Con la sentenza depositata il 6 ottobre 2020 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha fissato un ulteriore tassello per rafforzare la libertà di stampa, questa volta attraverso la protezione della confidenzialità delle fonti. Con la pronuncia in esame, infatti, la Corte, accogliendoil ricorso di una giornalista, ha stabilito che, l’articolo 10 della Convenzione europea, che assicura la libertà di espressione, compresa, quindi, la libertà di stampa, include la protezione del giornalista in ogni fase della sua attività e con riguardo agli strumenti che servono a garantire l’effettivo esercizio della libertà di stampa, come la tutela della segretezza delle fonti, che svelano notizie al giornalista con garanzia dell’anonimato. Per la Corte, inoltre, gli Stati non possono obbligare un giornalista a rivelare la fonte malgrado ciò potrebbe essere utile all’autorità giudiziaria per individuare l’autore di un reato.

Il ricorso ha permesso alla Corte europea di chiarire fino a che punto si spinge la tutela delle fonti dei giornalisti nel contesto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ed invero, poiché per informare su notizie di interesse pubblico, il giornalista deve cercare notizie e deve farlo anche – e diremmo soprattutto – ricorrendo a fonti non ufficiali, la segretezza delle fonti è un elemento essenziale per lo svolgimento dell’attività giornalistica. Se informatori e fonti non ufficiali che si rivolgono al cronista, fornendo notizie e documenti, non fossero protetti dalla segretezza e dall’obbligo, anche deontologico, del giornalista di non svelare l’identità delle stesse fonti, esse non comunicherebbero notizie di interesse generale, con la conseguenza che l’intera collettività sarebbe privata di informazioni necessarie all’esercizio, non solo del diritto di ricevere informazioni, ma anche di altri diritti essenziali per la democrazia. La mancata protezione dell’anonimato potrebbe spingere il giornalista a non divulgare fatti danneggiando l’intera collettività e impedendo al singolo di ricevere informazioni, finanche utili per esercitare le proprie scelte politiche.

La Corte, infatti, ha ribadito l’importanza della tutela della confidenzialità delle fonti per i giornalisti e, di conseguenza, per la collettività: obbligare un giornalista a rivelare l’identità della sua fonte ha un effetto negativo non solo sul singolo cronista, al quale altre ulteriori fonti potrebbero non rivolgersi più per comunicare fatti di interesse generale, ma anche per le future potenziali fonti del quotidiano e di altri giornalisti, con un effetto negativo diretto sull’interesse del pubblico a ricevere informazioni di interesse generale e un sicuro vantaggio per coloro che intendono nascondere attività illecite. 

Non basta, infatti, che il legislatore consideri alcuni reati particolarmente pericolosi per la collettività poiché è necessario, nel caso specifico, giustificare l’esito del bilanciamento tra i diritti in gioco perché la sola circostanza che l’ordine di divulgazione della fonte serva per individuare l’autore del reato non può giustificare la mancata protezione delle fonti, essenziale per la libertà di stampa. Così, constatato l’interesse pubblico della notizia al centro dell’articolo e che se la giornalista avesse svelato l’identità della fonte avrebbe compromesso anche la reputazione del giornale, 

La tutela delle fonti assicurata dalla Corte europea dovrebbe avere,una ricaduta anche nell’ordinamento italiano e in particolare sull’art. 200 c.p.p. in base al quale i giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale non possono essere obbligati a deporre “relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione”.