Qualche amico, in questi ultimi giorni, mi ha chiesto che opinione avessi rispetto all’esito delle elezioni dello scorso settembre. Mi è stato chiesto chi, a mio avviso, abbia vinto e chi abbia perso.
Al di là delle scaramucce dei vari leader, secondo i quali loro hanno sempre vinto ed a perdere sono stati gli altri, credo che a vincere, al di là di quanto si possa pensare, dato che ha vinto l’unico partito che vi si opponeva, sia stato il “metodo Draghi”, premiato dall’elettorato per la fermezza ed il pragmatismo, anche senza che vi sia stata una lista espressamente ispiratasi a lui.
Credo che a perdere sia stata la partecipazione democratica, stroncata da un astensionismo che ha superato di alcuni punti il 50%.
Credo inoltre che il “timido buonsenso” stia cominciando ad uscire dalle catacombe nel quale si era nascosto, ma che però il percorso è tutt’altro che concluso.
Credo infine che non si possa più fare a meno né dei partiti, intesi come luoghi di elaborazione delle idee, dei programmi e della classe dirigente, né della qualità dei candidati e dunque degli eletti.
L’onestà non può bastare, l’onestà deve essere una precondizione per la politica, come per qualsiasi altra funzione, ma senza la preparazione, senza la competenza e senza una buona dose di coraggio e di autorevolezza non si va da nessuna parte.
E poi c’è un altro elemento che deve essere preso in considerazione. Mi riferisco all’attenzione ed alla sensibilità verso le problematiche legate al disagio sociale, all’emarginazione, alle periferie, all’abbandono scolastico, alla disoccupazione, tenendo d’occhio soprattutto coloro i quali vivono della gestione dei problemi e per questo non hanno nessuna intenzione di risolverli.