Non so se tornerò mai all’impegno politico diretto all’interno delle Istituzioni, ma se lo facessi proverei a realizzare una serie di iniziative che stabiliscano e mantengano un forte legame civico tra amministratori e amministrati, puntando sulla responsabilità di entrambi.
Il concetto di responsabilità, così come quello di libertà, non sono contenuti nell’articolo 1 della Costituzione e forse per questa ragione se ne fa un uso che definire originale può apparire persino ironico, se non addirittura grottesco.
Secondo la gran parte dei cittadini, infatti, la libertà va assicurata a se stessi, mentre la responsabilità è sempre degli altri, soprattutto dello Stato, che da parte sua, purtroppo, non fa quasi nulla per rimediare.
In queste bislacche considerazioni c’è del vero, ma c’è anche del comodo ed a noi, com’è noto, le comodità ci piacciono parecchio, mentre le responsabilità le amiamo molto meno.
Sta di fatto che una tale situazione sta provocando un progressivo sfilacciamento nei rapporti tra amministratori e amministrati, tra elettori ed eletti, tra soggetti erogatori di servizi e utenti dei medesimi, una circostanza che costituisce una delle concause che stanno producendo un crescente astensionismo, un preoccupante disinteresse verso la cosa pubblica e fortissimi scricchiolii per la nostra fragile democrazia.
Qualche giorno addietro, ho partecipato ad un interessantissimo convegno sui diritti dei migranti, ma la stessa cosa sarebbe accaduta se il convegno avesse riguardato i diritti dei cittadini in genere, durante il quale sono stati sviscerati i vari problemi che questo genere di uomini e donne, spesso davvero disperati, sono costretti ad affrontare, forse sarebbe meglio dire a subire, a causa della loro drammatica condizione.
Nel corso delle varie relazioni sono stati sottolineati svariati aspetti della vita di queste persone: i rapporti con gli italiani che hanno paura del “diverso”, la povertà dalla quale molti di loro fuggono, i regimi che li hanno costretti ad abbandonare i rispettivi Paesi, lo sfruttamento da parte della criminalità organizzata e da parte di certi datori di lavoro, ecc. Tutto vero!
Ogni relatore, con dovizia di argomenti, ha infatti indicato quale fosse, a suo giudizio, la via più giusta per migliorare le condizioni di chi arriva in Italia alla ricerca del diritto sacrosanto alla serenità, ad un lavoro onesto, ad una vita dignitosa, ad una sanità funzionante, ad un’istruzione adeguata, o semplicemente ad un tetto sulla testa e ad un piatto di pasta per sé e per i figli.
Tutti i relatori hanno mostrato di avere le idee chiare su ciò che il nostro Paese avrebbe il dovere di fare per essere considerato un Paese civile e accogliente, ecco il concetto di responsabilità, vale a dire per essere ritenuto un Paese in grado di assicurare una dignitosa libertà ai migranti, ma io dico, ovviamente, anche ai cittadini italiani.
C’è chi proponeva una cosa, chi ne proponeva un’altra e devo dire che si trattava sempre di cose perfettamente logiche e umanamente corrette e sensate.
Peccato che, però, nonostante l’altissimo livello dei relatori, nessuno di loro si è spinto fino a spiegare chi avesse dovuto pagare per ottenere la garanzia del rispetto di quei sacrosanti diritti. Intendo dire che nessuno ha avuto il coraggio di spiegare ai presenti che il problema risiede tutto nella risposta ad una domanda: chi paga? Dato che fino ad oggi continuano a pagare sempre le stesse persone, a cui non si può chiedere di più.
Se non ci si sforza di capire bene chi debba pagare per garantire i diritti dei cittadini in genere, migranti e non, se non ci si sforza di chiarire quale debba essere il piano di distribuzione delle responsabilità e delle libertà, sarà difficile governare il Paese, facendo in modo che sia efficiente e giusto.
Vorrei fare qualche esempio minore, in parte già realizzato proficuamente in alcuni comuni. Se, come cittadini, legassimo, meglio di quanto non lo siano oggi, il concetto di responsabilità e quello di libertà, forse comprenderemmo di più che se gettiamo maleducatamente per strada i nostri rifiuti, rivendicando la libertà di farlo, perdiamo il diritto di non essere tassati in maniera esagerata.
Così come, guardando il problema dalla parte dell’amministrazione pubblica, se si dovessero risarcire i cittadini, o detassarli, in caso di mancata corretta fornitura di un determinato servizio: regolare raccolta dell’immondizia, efficienza nei servizi anagrafici, puntuale erogazione idrica, dignitosa sepoltura, ecc., forse tali ed altri servizi verrebbero gestiti in maniera migliore, cioè con maggiore responsabilità, da parte dei soggetti preposti.
Ecco, se dovessi tornare alla politica attiva, tra le altre cose, mi batterei per l’applicazione di uno sconto, o di una sorta di risarcimento, sulle tariffe o tasse comunali riguardanti eventuali servizi male o niente affatto erogati, stabilendo un più corretto equilibrio tra il concetto di libertà e quello di responsabilità, almeno sul piano della pubblica amministrazione.
Così come estenderei la possibilità che i cittadini che non fossero nelle condizioni di poter pagare il dovuto, possano farlo, fornendo il corrispettivo non in denaro ma in forma di attività lavorative socialmente utili: pulizia delle aiuole o delle strade, vigilanza davanti alle scuole, insegnamento di supporto, assistenza agli anziani, ecc.
Non credo che si tratti di obiettivi impossibili da raggiungere, credo, invece, che sia indispensabile riconnettere l’interrotto e compromesso rapporto tra rappresentanti e rappresentati, dato che l’alternativa, secondo alcuni, potrebbe essere quella di avere l’uomo forte al comando.