Ogni anno emigrano dalla Sicilia oltre 20.000 giovani alla ricerca di un lavoro dignitoso e soddisfacente. È un paese di media dimensione che se ne va.
Un tempo erano i braccianti che partivano, oggi sono soprattutto i laureati, quelli che non vogliono piegarsi alle logiche assistenzialistiche e clientelari che governano l’Italia, retta da chi fa dell’odio sociale un programma politico e da chi si vanta della propria ignoranza.
Il costo che la Sicilia subisce per questa ragione è doppio: quello legato agli studi, che è stato affrontato dalla famiglia di appartenenza, e quello riguardante il reddito che produrranno e spenderanno altrove, contribuendo alla crescita di un Paese che per la loro formazione non ha investito neanche un centesimo.
Eppure, c’è chi pensa che i problemi siano altri e immagina che sia giusto sacrificare la libertà, che basti costruire un nemico e scagliargli contro gli istinti più bassi di ciascuno di noi, o che sia dignitoso vivere sulle elemosine dello Stato.
Noi siciliani abbiamo bisogno di strade, ponti, ferrovie, porti, scuole, ecc. avendo queste ed altre infrastrutture, che fino ad oggi ci sono state negate, e usando le risorse di cui disponiamo potremo avere il lavoro che serve.
Non possiamo rassegnarci all’immobilismo, non possiamo cedere al fato, al destino, né ai più forti. Per offrire ai nostri figli che partono la speranza che pòossano, un giorno, ritornare, dobbiamo tirarci su le maniche e dobbiamo partecipare direttamente ai processi di cambiamento che, com’è noto, non si sviluppano da soli