Nell’Italia del dopoguerra, della prima, della seconda e dell’attuale repubblica, che non si capisce più che numero abbia, c’è chi è andato avanti con i soldi dell’ex Unione Sovietica, chi con quelli degli Usa, chi con le tangenti, chi facendo la cresta sui rimborsi elettorali, chi gonfiando i rimborsi spese, chi usando la giustizia per scopi politici, chi frodando il fisco, chi ottenendo la Cassa integrazione senza che ve ne fosse motivo, chi fingendosi invalido, chi facendosi timbrare il cartellino e chi assentandosi dal lavoro a causa di false malattie certificate da medici compiacenti.
Non credo che siano mai esistite posizioni estranee a questo sistema, e credo che pochi, anzi, pochissimi possano dire di non conoscerlo o di non essersene serviti almeno una volta nella vita. Non lo credo, ma soprattutto penso che coloro i quali lo negano e si autodefiniscono onesti e puri, sia tra i politici, sia tra i cittadini non lo siano affatto e si nascondano dietro un dito troppo piccolo per non essere visti o per essere creduti.
Oggi, però, la domanda è un’altra: siamo pronti a cambiare i modelli di riferimento e, di conseguenza, il modo di fare, ammettendo che, in un modo o nell’altro, nessuno è o è stato estrano a quello che molti chiamano “il sistema Italia” del quale tutti o quasi abbiamo patito o goduto, oppure dobbiamo ancora giocare ai buoni e cattivi?
L’ammissione di colpa e la conseguente autocritica ci farebbero guadagnare tempo e denaro, rimettendoci immediatamente lungo la strada del virtuoso cambiamento.