Vito Pirrone
«Non ci metteranno la museruola. Non ci chiuderanno in casa. Non siamo più le donne afghane di vent’anni fa». Lo gridano le giovani donne che sabato 4 settembre si sono riunite in strada per protestare a sostegno dei diritti acquisiti in questi vent’anni, e hanno marciato verso il palazzo presidenziale di Kabul. Unite e organizzate , col velo tradizionale sulla testa. Nessuna, però, col viso coperto e non con il Burqa. Sono state bloccate e cacciate con la forza dai talebani.
«I talebani ci aspettavano. Si erano preparati sin da venerdì. Hanno mandato la “Badri”, la brigata delle loro truppe scelte migliori. Dovevano disperderci rapidamente. Ma non ci sono riusciti. E hanno dovuto usare la forza», spiega alla stampa internazionale, per telefono, la leader Fawzia Wahdat, che non ha paura di postare in rete il suo viso con le dita della mano destra in segno di «v», manifestando la determinazione a lottare. È figlia del nuovo Afghanistan, giornalista, impegnata nella battaglia per la difesa dei diritti civili.
I filmati delle donne attaccate dai talebani a bastonate, con i lacrimogeni e gas urticanti, hanno fatto il giro del mondo. Gridano «libertà, libertà. Le donne devono avere ruoli di responsabilità. Non potrete costringersi a tacere».
I talebani le hanno «circondate» , «ci hanno fermate con la violenza, anche se la nostra manifestazione era del tutto pacifica».
«Abbiamo cominciato e non intendiamo fermarci. Cercheremo di mobilitarci ogni giorno. Vogliamo far sapere agli afghani che non è più il momento di subire senza reagire e cerchiamo la solidarietà internazionale. Tante tra noi sono pronte a mettersi in gioco, anche a pagare con la vita», aggiunge Fawzia. Alla manifestazione di ieri mattina hanno partecipato anche alcuni uomini, che sono stati picchiati duramente.
La città, che ha visto crescere queste ragazze, sta già cambiando. I talebani eliminano i cartelloni pubblicitari con le immagini femminili. Le donne afghane , per paura, si coprono per evitare problemi, non vanno più sole nei luoghi pubblici, ma sempre accompagnate da un uomo.
Mentre nel mondo si sente un coro forte che il popolo afghano è stato abbandonato, soprattutto donne e bambini, esponendoli ai peggior abusi, le donne afghane, da sole, si ribellano e rivendicano i loro diritti.
Le manifestanti temono proprio la lenta, inesorabile rassegnazione alla sharia, la legge religiosa, secondo l’interpretazione oscurantista talebana.
Come in tutti i conflitti e gli scenari di guerra, a pagare il prezzo maggiore sono sempre le donne. E le Afghane sono di nuovo schiave, private dei loro diritti e delle loro libertà, anche se con coraggio, nelle strade di Kabul continuano a lottare per i loro diritti al grido di “Sostenete la nostra voce! Non ci fate sparire. Mondo, riesci a sentirci ?”.
Non possiamo far finta che tutto questo non stia succedendo !
Diciamo alle donne afgane “Together we stand” .