Per tanti anni si è blaterato della separazione delle carriere Tra i magistrati, senza mai riuscire a distinguere nettamente la professione di chi accusa dalla professione di chi giudica. 

Oggigiorno a furia di non concludere niente, siamo arrivati alla continuità delle carriere tra potere legislativo e potere giudiziario, tra parlamentari e magistrati, nel senso che i magistrati possono fare a meno dei parlamentari, sostituendoli in tutto e per tutto.

Non so perché ma improvvisamente penso sempre all’affermazione di Ignazio Silone, nella sua opera “la scuola dei dittatori” che ho già ricordato in un altro articolo.

“La prima condizione affinché prevalga un sistema totalitario, è la paralisi dello Stato democratico, cioè un’insanabile discordanza tra il vecchio sistema politico e la vita sociale radicalmente modificata; la seconda condizione è che il collasso dello Stato giovi innanzitutto al partito d’opposizione e conduca ad esso le grandi masse, come al solo partito capace di creare un nuovo ordine; la terza condizione è che questo si riveli impreparato all’arduo compito e contribuisca anzi ad aumentare il disordine esistente, mancando in pieno alle speranze in esso riposte. Quando queste premesse sono consumate, e nessuno ne può più, irrompe sulla scena il partito totalitario. Se esso non ha alla sua testa un imbecille, ha molte probabilità di arrivare al potere”. 

Se poi tutto è riconducibile a chi tutela la salute o a chi tutela la libertà e la giustizia, cioè a medici o magistrati, il gioco è fatto!

Denunciare la profonda crisi in cui versa la giustizia italiana e segnalare l’autoreferenzialità e l’irresponsabilità di alcuni magistrati, perché le si possano impedire entrambe, non vuol dire affatto essere a favore della corruzione, della devianza, della criminalità, bensì esattamente il contrario. 

Vuol dire non rassegnarsi a un sistema giudiziario che si pieghi ad interessi di casta o di partito, vuol dire amare la giustizia, quella vera, come fanno i genitori coscienziosi con i figli discoli: evitando di viziarli, rimproverandoli se è necessario, non assecondandoli nei loro capricci, insomma educandoli.