La nostra agricoltura è alla canna del gas, non ce la fa più, è stanca. I nostri prodotti tipici vengono costantemente sacrificati a vantaggio di scelte di politica interna ed estera che favoriscono le grandi industrie del nord e le multinazionali straniere, ma distruggono le nostre produzioni agricole di maggiore pregio, persino Eurispes certifica che in 17 anni sono stati sottratti al Sud ben 840 miliardi.
Tutto questo accade nel silenzio più assordante delle istituzioni regionali, che annaspano vistosamente e che continuano ad essere prigioniere di una burocrazia arrogante quanto incompetente, incapace di usare le cospicue risorse comunitarie che, così stando le cose, vengono sprecate o non utilizzate.
In questi giorni, per le strade di Catania, ho visto arance a 30 centesimi al chilo: una vera follia. Volendo fare un paragone, potremmo dire che tre chili di arance costano meno di un caffè. Questo stato di cose rappresenta la mortificazione della nostra agricoltura, ma significa pure che non sappiamo fare rete, che non sappiamo realizzare economie di scala, che continuiamo ad essere prigionieri di un individualismo che rischia di soffocarci.
Dovremmo prendere esempio da quanti, come i produttori di mele del Trentino, già da anni, hanno realizzato forme associative che permettono loro di guadagnare di più e di produrre meglio. Se ci sono riusciti loro perché non possiamo riuscirci anche noi? Cos’abbiamo, noi siciliani, in meno degli altri? Siamo forse meno bravi o meno intelligenti?
In risposta a questa domanda, mi capita spesso di sentirmi dire che: “purtroppo noi siamo fatti così”, oppure, “noi non sappiamo lavorare insieme ad altri”. Qualcuno si spinge sull’orlo dell’analisi sociologica e afferma senza vergogna che: “noi siamo individualisti incapaci di fare rete”.
Mi addoloro tantissimo ma non mi stupisco. Anni di accondiscendenza passiva a scelte compiute lontano da noi hanno stroncato anche le intelligenze più spiccate e audaci, trasformandoci in messianici accattoni. Anni di gestione del bisogno ci hanno abituati alla miseria economica e morale, della quale, questo si purtroppo, stentiamo a liberarci.
Siamo prigionieri dei peggiori speculatori, ne siamo perfettamente consapevoli, ce ne lamentiamo, ma non riusciamo a liberarcene. Preferiamo rimanere ostaggio di qualche grosso intermediario o di poche spregiudicate multinazionali, piuttosto che provare a fare da soli, migliorando una situazione che ha del paradossale.
Eppure noi siciliani non siamo affatto né pessimisti, né miserabili: noi abbiamo conquistato i nostri conquistatori. Quando lo vogliamo sappiamo essere intraprendenti e operosi. Ricordiamoci che siamo gli eredi di culture evolute, di Archimede, di Empedocle, di Caronda, di Maiorana, di Verga, di Pirandello, di Sciascia, di Bellini, ecc. Ma soprattutto ricordiamoci che non abbiamo niente di meno dei cittadini del Nord, se non le infrastrutture, che a noi sono state negate da una politica nazionale che viene a prendere i voti al Sud per governarli da Roma nell’interesse di Milano.
Guai a credere ancora a questo modello vecchio politico, fondato sulle comode divisioni ideologiche, sul cui altare sono state sacrificate le nostre esigenze e persino i nostri diritti.
Ciò premesso, dobbiamo essere consapevoli del fatto che le strade, le ferrovie, le autostrade, i porti, gli aeroporti, le scuole, le reti multimediali, ecc. possiamo rivendicarle, possiamo pretendere che vengano realizzate nella stessa quantità e qualità delle altre regioni, ma la mentalità non possiamo rivendicarla, la dobbiamo cambiare da soli.
Non possiamo combattere il tradimento dello Stato con l’indolenza, però possiamo combatterlo con l’intelligenza, l’impegno e la passione civile che dobbiamo riscoprire dentro di noi, perché nessuno ci sottoporrà mai ad una cura ricostituente a base di lavoro e partecipazione civile.
L’impegno e la passione civile dobbiamo riscoprirli e coltivarli nell’interesse della nostra terra, perché nessun mutamento accade spontaneamente. Il cambiamento dobbiamo volerlo, dobbiamo progettarlo, dobbiamo realizzarlo e dobbiamo difenderlo. Nessuno verrà mai in Sicilia per farla diventare più bella e più vivibile ed efficiente di altre parti d’Italia, se non lo faremo direttamente noi stessi: per riuscire non basta sognare, né basta lamentarsi, bisogna agire.
Per cambiare bisogna combattere, bisogna metterci la faccia, bisogna democraticamente “sporcarsi le mani” e, soprattutto, bisogna smetterla di pensare che debbano essere gli altri a fare qualcosa per noi. Perché dovrebbero?
Una Sicilia diversa, una Sicilia migliore, una Sicilia efficiente operosa e moderna non può che cominciare dai siciliani e dalla loro, dalla nostra, capacità di crederci fino in fondo, senza alcuna riserva e senza alcun pretesto. Si fa e basta!