di Santo Fabiano
La democrazia è un ottimo argomento di conversazione. C’è chi lo invoca per giustificare ciò che vuole e chi lo utilizza per scalare le cariche pubbliche. Ma nessuno è così stupido da credere che funzioni davvero come la raccontiamo. Ormai siamo abituati a parlare di uguaglianza, di diritti degli ultimi, di affermazione della pace sociale e altri valori di quelli che fanno belle alle coscienze. Ma nella vita reale accettiamo intrighi, accordi sottobanco e persino prevaricazioni e ingiustizie. E le ingiustizie, poi, sono le prime che si lasciano vestire con il colore che gli diamo. Come se avessero pudore, vanno alla ricerca immediata di una copertura politica. E la trovano subito. Anche i fatti più gravi, che farebbero inorridire qualsiasi commentatore, se commessi da personaggi che rappresentano una determinata appartenenza, trovano subito una giustificazione di parte che assolve da ogni colpa.
Se fossimo in democrazia, come diciamo di essere, ci sentiremmo padroni a casa nostra, in obbligo di essere informati di ogni cosa, di proteggere ogni nostro bene e di salvaguardarci da chi approfitti del ruolo rivestito o della nostra buona fede.
Ma il nostro essere “cittadini”, purtroppo, si ferma allo schieramento. E quando vogliamo saperne di più ne parliamo al bar o su facebook. Se poi vogliamo impegnarci, ci avviciniamo alle macchine infernali dei partiti, sperando che, dopo anni di silenziosa obbedienza, qualcuno di accorga di noi.
Un giorno un amico mi disse che la nostra democrazia è come “novantesimo minuto”, in cui finita la partite in cui ventidue persone giocano e fanno affari, passiamo il nostro tempo a commentare il loro gioco.
Ma la democrazia, quella vera, che portiamo dentro di noi e di cui abbiamo bisogno, è un’altra cosa. E si alimenta soltanto con la partecipazione attiva e consapevole a tutto ciò che accade. La partecipazione è consapevole quando è informata, realmente, su ciò che accade, evitando di prendere posizione prima di conoscere e rinunciando alle “verità fornite dello schieramento”. Ed è attiva quando si ha il coraggio di manifestare la propria cittadinanza “in prima persona”.
Quello della partecipazione è un tema che ci sembra difficile e che alla fine diventa impossibile, per una semplice ragione: la convinzione che per “fare politica” bisogna scegliere uno dei leader nazionali o affiliarsi a uno dei maggiori partiti di cui parla la stampa quotidiana.
La stranezza è proprio questa: vogliamo il cambiamento, siamo consapevoli che i partiti storici hanno causato i mali di cui ci lamentiamo, ma pretendiamo che la politica sia limitata solo a quelli.
Quanta gente che ha voglia di cambiare, al momento di votare o di scegliere una parte da sostenere, preferisce la “sicurezza” del partito tradizionale o di quello più grande, per poi lamentarsi che nulla si può cambiare.
Pensate che bella rivoluzione sarebbe se da domani ogni cittadinodecidesse di votare soltanto per ciò che è veramente nuovo e diverso. Questa decisione sì che metterebbe in crisi i partiti tradizionali. Saremmo costretti ad accorgerci di chi presenta nuovi programmi, della loro buona fede, della loro effettiva capacità di realizzarli. E soprattutto torneremo a essere protagonisti. Perché ogni partito che nascerebbe avrebbe bisogno di dare importanza ai propri elettori.