Una delle condizioni necessarie per fare in modo che un Paese, una società, escano dalla crisi e si avviino lungo un percorso di crescita e di sviluppo è quella legata alla qualità della sua classe dirigente ed alla capacità che essa deve avere nell’affrontare i problemi che le si parano davanti, giorno dopo giorno, con sempre maggiori difficoltà. 

Se c’è una cosa che non bisogna mai augurarsi, infatti, è che si venga amministrati da persone incapaci, soprattutto se esse, dotate di scarse qualità ma di tanta presunzione, interpretano l’incapacità di chi si vanta di non avere né competenze specifiche, né buonsenso, ma che in compenso, è dotato di notevoli dosi di violenta e sprezzante arroganza.

L’orgogliosa ignoranza, di chi ostenta la propria incompetenza, infatti, fa male non solo a chi se ne fa un vanto, ma anche al Paese intero, perché costituisce una pesante palla al piede per lo sviluppo e la crescita economica ed occupazionale in tutti i settori ed in tutti i territori. 

Se, per la stessa perversa logica che condusse all’assoluzione di Barabba ed alla condanna di Gesù, la guida delle varie istituzioni fosse affidata, come accade talvolta, a chi pratica l’orgogliosa ignoranza, l’Italia precipiterebbe irrimediabilmente verso i livelli più bassi della comunità internazionale, poiché i sui migliori cittadini non accetterebbero una tale situazione e se ne andrebbero, come purtroppo sta già accadendo a vari livelli. 

Un tempo, però, emigravano operai, braccianti, muratori, padri di famiglia che, con coraggio e determinazione, tentavano la sorte lontano dalla patria, a rischio della vita, nella disperata ricerca di condizioni migliori di quelle vissute nel proprio Paese. 

Oggi la situazione è differente, poiché emigrano ingegneri, medici, scienziati, imprenditori, con ciò creando all’Italia una doppia perdita: quella, comunque virtuosa, legata all’investimento che le famiglie, sacrificandosi duramente, hanno compiuto per fare studiare i propri figli, e quella negativa, per la nostra società nel suo complesso, che non potrà avvalersi né della competenza di quanti emigrano, né del loro reddito che, al contrario, contribuirà ad arricchire altri Paesi. 

Insomma, insieme alle emergenze strutturali ed infrastrutturali, l’Italia, soprattutto le regioni meno sviluppate come la nostra, se vuole uscire dalla lunga e difficile fase recessiva, deve investire, senza alcun indugio, in “permanenza”, vale a dire nella capacità di approntare un’offerta culturale, lavorativa e professionale adeguata alle aspettative dei giovani, ma anche alle necessità della nostra, importante ma fragile, economia. 

Ogni anno, ad esempio, proprio dalla Sicilia, emigrano oltre 20.000 persone, gran parte delle quali, purtroppo soprattutto per noi, non ritorneranno mai più, se non che per trascorrere qualche giorno di vacanza, insieme agli anziani parenti, nel ricordo della loro giovinezza e di quello che non è stato: è troppo poco! Ci vuole molto di più.

D’altra parte, nessuna offerta che sia realmente vantaggiosa, può essere ipotizzata da chicchessia se la nostra Regione continuerà a non dotarsi degli strumenti essenziali, necessari per essere allettante sia per gli investitori, che potrebbero avere interesse a venire, sia per quei pochi imprenditori che hanno avuto il coraggio di restare.

Questa non facile condizione, però, non si realizza da sola, non rappresenta il frutto del caso o della fortuna, poiché ha bisogno dell’aiuto di scelte politiche in grado di determinarla e sostenerla; scelte per le quali è necessario che torni la buona politica e che sconfigga definitivamente due suoi grandi nemici: la presunzione di alcuni e l’illusione di tanti, vale a dire proprio quella orgogliosa ignoranza alla quale si faceva prima riferimento.

Una società che spera di vincere al “superenalotto”, ma non si sforza neanche di giocare la schedina, è una società che non uscirà mai dal tunnel. Un tunnel la cui uscita, sia chiaro, non si raggiunge affatto rovinandosi, nel tentativo di sfidare la sorte, perché la sorte premia pochissime persone e ne rovina tante, ma alimentando la cultura e sacrificandosi a studiare sui libri, non certo vantandosi della propria, talvolta imbarazzante, ignoranza.