Il contesto politico in cui si muove il nostro Paese, in questa sciagurata e confusa fase storica, appare sempre di più privo di caratteri, di discriminanti identificabili, di originalità reale, capaci di renderne visibili e distinguibili le varie azioni poste in essere di volta in volta.
Ad esempio, ci sono almeno quattro gruppi che, sganciatisi dal tradizionale centrodestra (Toti e Cafagna) e dal tradizionale centrosinistra ( Renzi e Calenda), si contendono, a dir loro, il “centro” politico, o quello che normalmente si considera tale nella ripartizione abituale del parlamento.
A giudicare dalla esiguità del contenuto dei rispettivi “programmi”, posto che li si possa definire tali, si tratta delle solite operazioni di vertice fondate sul tentativo di difesa dei leader che li hanno originati, ma anche sulla pretesa di interpretare un ripetitivo e indefinito spazio moderato attualmente in “cerca d’autore”, forse anche perché privo di significativi “tratti somatici” che vadano al di là di quelli, più o meno aggraziati, dei vari rappresentanti o sedicenti tali.
Per quanto è dato sapere, fino ad oggi, in nessuno dei quattro programmi c’è una parola sensata sul Sud, sulla Sicilia, sulla perequazione infrastrutturale, sul lavoro: solo chiacchiere da salotto, il ben noto salotto della finanza speculativa in cerca di nuovi burattini da manovrare per illudere i cittadini, soprattutto quelli che vivono in condizioni di disagio.
Le poche cose che sembrano occomunarne la collocazione “geografica” riguardano il contrasto, neanche unanime, al giustizialismo, l’antifascismo, l’europeismo: direi un po’ pochino, soprattutto per un Paese in cui il tasso di disoccupazione è di gran lunga al di sopra della media dell’Unione europea, il debito pubblico e la tassazione sono altissimi, lo scompenso infrastrutturale è palese, dato che divide orizzontalmente il territorio della nazione, la scuola sforna troppi somari e la media dei laureati è piuttosto bassa.
Un po’ pochino, dicevamo, per un Paese in cui le liste d’attesa nella sanità sono lunghissime, la burocrazia e la giustizia sono inquietanti e lentissime, la cultura, purtroppo, continua a produrre poco, gli spechi e le ridondanze amministrative, strutturali ed istituzionali appaiono incompatibili con la bassa qualità dei servizi e far nascere una nuova impresa è più difficile che riuscire nella quadratura del cerchio.
Così stando le cose, per questo modello di “centro”, dove, tra l’altro, opera anche ciò che resta dell’UDC, della DC, del PRI, del PLI e di altri partiti simili, non appare particolarmente attraente: manca il famoso “quid” che ne dovrebbe caratterizzare l’azione politica, ma soprattutto manca proprio l’azione, dato che la si può ricondurre esclusivamente a qualche “uscita” mediatica dei rispettivi leader, magari per alzare il prezzo in occasione del voto su questa o su quella legge.
Non credo che sia la via più saggia per ristabilire equilibrio e buonsenso nelle attività del governo centrale e dei governi territoriali del nostro Paese. Troppo poco, perché per conclamare un partito moderato ci vuole il “modus”, vale a dire il modo, la misura, gli strumenti!
Gli strumenti non possono essere quelli adoperati fino ad oggi dai partiti ideologici, non possono essere quelli di un Paese che, proprio a causa delle divisioni, é a due o a tre velocità e stenta ad uscire dal guado.
È per questo motivo che la riscrittura delle regole di gestione della politica non può più limitarsi alla tradizionale collocazione geografica: destra, centro, sinistra, con le rispettive variabili estreme e non, ma deve immediatamente passare da un riallineamento delle condizioni dei vari territori, dunque da una loro rappresentanza politica e parlamentare a questi vincolata, come accade da sempre in Trentino o in Valle D’Aosta.
Se la Sicilia, la Sardegna o la Calabria, ecc. continueranno ad essere rappresentate da siciliani, sardi o calabresi che non dovranno rispondere ai loro elettori, ma alle segreterie nazionali dei partiti ai quali aderiscono e che, a loro volta, prima di rispondere ai cittadini, rispondono ai poteri forti, senza alcun filtro di mediazione e di armonico riequilibrio, il Paese continuerà a crescere male, cioè a decrescere e noi continueremo ad essere trattati da accattoni.
Credo sia venuto il momento di provare a cambiare, la Sicilia non può più attendere e di attacchi mediatici, commissionati dai nostri denigratori a qualche pennivendolo da strapazzo, siamo proprio stanchi!