In Italia risulta essere occupato il 62,3% della popolazione compresa tra i 20 ed i 64 anni. In realtà il dato potrebbe essere meno drammatico di quanto non appaia se si contabilizzasse il lavoro nero del tutto esentasse: tuttavia i dati ufficiali sono questi e peggio, in Europa, si trova soltanto la Grecia, con il 57,2%, ma con un sistema produttivo niente affatto paragonabile a quello del nostro Paese.

La media dell’Unione, dalla quale, al momento, siamo distanti circa dieci punti, è del 72.2, sicuramente più sostenibile di quella che ci riguarda, non solo per gli effetti di natura economica, ma anche per la connessa qualità della vita. 

La Germania, con la quale, volente o nolente, dobbiamo misurarci, sia sul piano del mercato, sia per ciò che attiene al welfare, ha superato il 75%, con un maggior numero di giovani e persino di anziani al lavoro. 

Quest’ultimo dato, come sostiene il giornalista Davide Giacalone, in uno dei suoi recenti editoriali, dimostra quanto sia “sciocca l’dea che, fuori i secondi, si creino posti per i primi.” 

In queste condizioni, e con l’unica sicurezza che, paradossalmente, risiede nella consapevole insicurezza, risulta inutile chiedersi perché cresciamo meno sul piano economico e perché non cresciamo affatto sul piano delle nascite.

Al di là di quanto già detto, che non è affatto poco, anzi, c’è un altro elemento che la dice lunga sui tempi che stiamo attraversando; ce lo fornisce Eurostat: nel nostro Paese, i disoccupati sono arrivati a circa 2.9 milioni, in Francia sono circa 2 milioni 800 mila, in Spagna sono, più o meno, 3.9 milioni. 

La popolazione francese è superiore alla nostra, quella spagnola è inferiore, cosa che potrebbe indurci a un qualche ottimismo: sbagliato! 

Il punto, infatti, è un altro: è quello riguardante quanti non lavorano, ma soprattutto non cercano un lavoro. In Spagna sono intorno a 830 mila, in Francia sono circa 730 mila, in Italia sono poco oltre 3 milioni, una cifra estremamente e pericolosamente elevata.

Il nostro Paese, infatti, è il solo, tra quelli dell’Unione Europea, ad avere una popolazione “immobile”, messianicamente in attesa di qualcosa che non viene neanche cercata, oltre che incapace di avere delle speranze e delle aspettative, ma che purtroppo supera persino il numero di disoccupati.

Questo elemento è di grandissima gravità e dovrebbe indurre il nostro governo ed il nostro Parlamento, se avessero un minimo di senso dello Stato, ad abbandonare toni e strumenti di natura elettoralistica, per inerpicarsi nella più difficile, ma necessaria, ricerca di soluzioni adeguate, rapide, sostenibili e condivise.

In queste condizioni e con l’emergenza che i dati confermano, serve a poco cercare di chi sia la colpa: della politica inadeguata, della scuola che non insegna più niente, del mercato che “non tira”, delle imprese che sono mal gestite, del clientelismo che non premia i migliori, del sistema inceppato, della burocrazia più o meno corrotta e più o meno inefficiente, della società dei consumi, dello scoraggiamento collettivo o di qualsiasi altra cosa si voglia. 

In queste condizioni bisogna tentare di uscire dagli schemi tradizionali e provare, in qualche modo, a considerare altri elementi, che siano in grado di orientarci verso una idonea e veloce via d’uscita. 

I NEET, così vengono definiti coloro i quali non lavorano, non cercano lavoro, non si formano e non vanno a scuola, non sono tutti ricchi possidenti o facoltosi borghesi che vivono di rendita, ma non sono neanche dei morti di fame, come qualcuno potrebbe immaginare. 

La gran parte di loro sono cittadini comuni, appartenenti trasversalmente a tutti gli strati sociali, i quali, grazie alle famiglie di appartenenza, alle multiformi agevolazioni pubbliche o al diffusissimo lavoro nero, cercato o subìto, possono vivere, quasi normalmente, senza neanche sentire l’esigenza di impegnarsi a trovare un’attività regolare. 

Per usare, ancora una volta, una frase di Davide Giacalone, “detto brutalmente: stiamo finanziando il nostro impoverimento, presente e futuro, mettendo tutto in conto a chi lavora e paga tasse e contributi. Micidiale.”

Personalmente, per non parlare del drammatico problema delle pensioni, a cui bisognerebbe dedicare un capitolo a parte, non credo che questa situazione possa durare ancora a lungo, anzi, credo che se ne abbia proprio per poco. 

Penso, cioè, che il tempo che rimane sia veramente agli sgoccioli, giusto quello necessario affinché il lavoratore medio italiano, mettendo da parte le illusioni, a cui ha ingenuamente creduto, si renda conto che, per realizzare le illusioni creategli dai “nuovi politici”, dovrà lavorare il doppio e guadagnare la metà, per consentire a chi non ha voglia di lavorare o a chi evade, tasse e/o previdenza, di continuare a farlo tranquillamente: a spese degli altri!