di Giovanni Tomasello

L’Isola maggiore del Mediterraneo ha una posizione geografica strategica di straordinaria importanza dal punto di vista culturale, economico e commerciale.
La sua valenza è ancora più marcata in chiave geopolitica e militare, circostanza che è generatrice di formidabili opportunità e, altra faccia della medaglia, di gravissimi rischi, come nella attuale situazione di caos politico dei paesi nordafricani nostri vicini.
Di ciò oggi, ma anche nel passato, sembra abbiano più consapevolezza potenze straniere rispetto all’Italia e alla stessa Sicilia.
Espressioni che i siciliani, anche più colti, utilizzano quali “crogiuolo di culture” o “crocevia di civiltà” sono spesso ad uso di visitatori e turisti oppure per sottolineare positivamente e con giusta enfasi la innata propensione all’accoglienza e all’integrazione fra popoli.
Forse poco si riflette sul fatto che questa mescolanza di civiltà è stata resa possibile grazie ai numerosi porti che la Sicilia offriva alle imbarcazioni in rotta da una parte all’altra del Mediterraneo.
E quindi, invece che continuare a guardare quasi esclusivamente alla terraferma, converrebbe a chi ha responsabilità pubbliche concentrarsi di più sulle grandi opportunità che può ancora una volta riservare il mare alla Sicilia e all’Italia intera sul piano economico ed occupazionale.
Lo Stretto di Sicilia, 90 miglia circa nella parte più vicina tra costa isolana e quella tunisina, segna il confine del bacino orientale con quello occidentale del mare nostrum.
Passaggio obbligato per le rotte che solcano da un estremo all’altro questo mare relativamente chiuso, sul quale si affacciano tre continenti. Dopo la realizzazione del canale di Suez nel 1867 è diventato, e lo è ancora oggi, uno dei punti nodali del commercio mondiale, lungo le rotte che dall’indo-pacifico conducono verso il Nord Europa.
Della particolare rilevanza di questo Stretto si accorsero tra i primi i Fenici, esperti marinai, che dalle città di Tiro, Biblo e Sidone (l’attuale Libano) da dove provenivano solcarono per primi questo mare sconosciuto fino a Gibilterra attorno all’anno 1000 a.C., in cerca di approdi naturali sicuri per i propri commerci .
Dopo poco tempo provvidero a insediarsi sulle due sponde in corrispondenza del Canale di Sicilia, fondando Cartagine e a seguire sull’altra sponda si assicurarono il presidio degli approdi naturali di Mozia e Palermo come empori per le loro mercanzie.
Per secoli, anche in epoca greca, furono egemoni nella Sicilia occidentale fino a quando i Romani non ebbero la meglio.
Per venire a tempi più recenti, nel corso degli eventi che segnarono il secondo conflitto mondiale, Churchill convinse il presidente degli Stati Uniti Roosevelt che era assolutamente strategico e prioritario iniziare con una forte offensiva militare dalla Sicilia, memore degli attacchi sferrati dall’Asse ai convogli inglesi, costretti a fare il giro del Capo di Buona Speranza e ad allungare la rotta di circa 12.000 miglia.
E oggi che fare ?
Un’analisi approfondita e particolarmente interessante della questione è contenuta nel n. 2/2021 della rivista mensile di geopolitica Limes, alla cui lettura si rinvia.
Si ha l’impressione che Roma continui a guardare verso Nord e il centro-Europa, anche come modello di sviluppo per il Mezzogiorno, che la Sicilia sia considerata un grosso grattacapo, una palla al piede, invece che una formidabile occasione per la ripresa economica del Sud e della Nazione.
Nell’attesa che ci sia anche in questo campo una maggiore integrazione europea, condizione per questo cambio di marcia è una politica estera nazionale che punti all’Italia come potenza marittima nel Mediterraneo.
Quello che fanno con più determinazione di noi i Francesi.
Quello che stanno facendo con politiche aggressive Russi e Turchi che, nella situazione estremamente fluida che si è venuta a determinare, hanno piazzato proprie basi militari e commerciali sulla costa libica.
Quello che fanno i Cinesi che, dopo Gibuti e il Pireo, proseguono nell’azione di piazzare bandiere nei punti nevralgici del Mediterraneo, nell’ambito della loro pianificazione pluridecennale di investimenti ( Belt and Road).
Sembra insomma che lo Stretto di Sicilia ( e la Sicilia ) faccia gola a tante potenze tranne all’Italia !
L’Isola continua per fortuna a essere sotto il solido controllo degli Stati uniti, per quanto le cose siano molto cambiate dopo la caduta del Muro di Berlino e la loro politica mediterranea si sia allentata.
Ecco perché è diventata più urgente una politica militare, economica e commerciale italiana, che ritagliandosi un suo spazio supporti l’azione della superpotenza americana.