Da diversi mesi, in Sicilia ed in diverse altre regioni del Mezzogiorno, è in corso un profondo, articolato e qualificato dibattito che dovrebbe portare, si spera in tempi brevi, alla nascita di un soggetto politico meridionale, che risponda alle esigenze del territorio, da troppi anni abbandonato e defraudato ed impoverito da scelte, ottuse e penalizzanti, che hanno privilegiato altre zone del paese.

Più volte ho sostenuto che fino a quando la Sicilia ed il Sud non saranno capaci di dare vita ad un proprio solido, riconosciuto e riconoscibile partito, in grado di rispondere alle regioni che lo esprimono, i parlamentari eletti, a prescindere dalla loro appartenenza, dovranno continuare a soggiacere inermi alle lobby ed ai salotti che controllano le segreterie nazionali di tutti i gruppi dei diversi schieramenti, sia di centrodestra sia di centrosinistra e persino di quelli che ancora non sanno da che parte stare. 

Un partito meridionale capace di affermare e difendere le ragioni del Sud e della Sicilia, senza alcun dubbio, costituisce il presupposto imprescindibile per realizzare quella necessaria ripartenza economica e sociale di cui l’intero Mezzogiorno ha bisogno e che persino l’Europa, di recente, sollecita, nel momento in cui si appresta ad erogare le consistenti somme legate all’emergenza Covid.

D’altronde, se i miliardi di Bruxelles non verranno spesi per migliorare la situazione infrastrutturale del Sud e per favorire investimenti economici importanti, dunque occupazione stabile, non ci sarà sviluppo, né ripresa, mentre salirà pericolosamente l’indebitamento, che già è a livelli altissimi. 

Chi pensa ad una delle solite distribuzioni a pioggia prive di visione strategica,  magari destinate a far lievitare il fragile consenso elettorale, o peggio, ad altri sussidi improduttivi, incapaci di avviare qualsiasi moltiplicatore economico né di incrementare il PIL, non vuole di certo il bene del Mezzogiorno e men che meno dei suoi cittadini, anzi, lavora alacremente per aumentarne la condizione di schiavitù. 

La nascita di un partito territoriale ed una adeguata visione strategica di sviluppo, però, potrebbero non essere sufficienti. Oltre ad un soggetto politico meridionale, infatti, bisogna contribuire a far nascere rapidissimamente un nuovo cittadino meridionale che gli stia dietro e che sia consapevole dei suoi diritti,  dei suoi doveri, dei suoi vizi e delle sue virtù, che sia capace di pretendere, di controllare, ma anche di dare.

Il nuovo cittadino al quale penso non deve soltanto essere più preparato o più educato, deve essere pure pronto alle sfide meritocratiche del terzo millennio, che non si svolgono dietro la porta di qualche parlamentare, com’è accaduto per oltre settant’anni, ma nella società, che non chiede raccomandazioni, ma  efficienza e preparazione. 

Il nuovo cittadino al quale penso deve essere intraprendente, ma non incosciente; rispettoso della legge sempre, non solo quando è più conveniente; deve sapersi battere per la propria terra, che ha il dovere di lasciare in condizioni migliori di come l’abbia trovata e deve sostituire la logica del comodo favore con la logica del diritto. 

No, la strada non è affatto breve, né semplice, ma se il Mezzogiorno vuole davvero vincere la sua scommessa ha bisogno che il partito del Sud, quello che dovrà perequare le condizioni sociali, economiche ed infrastrutturali del paese, si occupi dei cittadini del Sud ed i cittadini del Sud si occupino del partito del Sud, senza mai separare i destini degli uni dai destini dell’altro.

In ogni caso, il collante di qualsiasi democrazia e di qualsiasi società civile, oltre alla comune identità ed al comune senso civico, è la partecipazione che vuol dire conoscenza, comprensione, preparazione e soprattutto capacità di scelta.     

A tal proposito, aveva perfettamente ragione il grande filosofo greco Platone, il quale affermava:  “Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti.” E non vi è dubbio che aveva perfettamente ragione, dato che nessuno farà mai ciò che, nel bene e nel male, spetta a noi fare e non ad altri.