Sono convinto che le delusioni quotidiane, che nella nostra Regione ci provengono da una politica raffazzonata e da esponenti politici nazionali spesso incapaci, debbano indurci a uscire dalla sonnolenta condizione nella quale, talvolta anche inconsapevolmente, amiamo crogiolarci, e spingerci, come si dice, “a metterci direttamente la faccia”.
Personalmente ritengo che battersi per una Sicilia migliore, che sappia usare pienamente le proprie risorse e le proprie competenze statutarie, che si comporti in maniera legale e responsabile, che ottenga un livello infrastrutturale pari a quello delle regioni del Nord, che sappia ascoltarsi e parlarsi, non credo che offenda nessuno.
In particolare non credo che offenda Marx, né Nietzsche, né Mazzini, né Sturzo, né Hanna Arendt, né Bauman, né Smith, né Keynes, né Rawls, né Rousseau…ecc…soprattutto se si riuscisse a partire da una serie di oneste e sincere ammissioni di colpa.
Troppe volte siamo rimasti impigliati in un modello di organizzazione intellettuale ancorato ad ideologie superate dai tempi e troppe volte, mentre noi discutevamo animatamente dell’attualità o meno di quelli che sono veri e propri cadaveri politici, qualcuno, molto più pragmaticamente, otteneva quanto gli necessitava per il suo sistema di sviluppo e di crescita economica e sociale.
Le gabbie ideologiche ed i conseguenti ascari che, durante le varie fasi storiche, ne hanno tratto profitto, come accade sempre in casi del genere, hanno impedito a noi siciliani di usare le enormi risorse di cui disponiamo, di avere ciò che ci spetta, di collaborare tra noi, di assumerci le nostre responsabilità, permettendo ad altri di attrarre verso di sé la ricchezza del Paese.
Tutto questo, ovviamente, non è accaduto per caso, né senza precise responsabilità politiche e personali di noi siciliani, perché non possiamo assolutamente ritenerci estranei alla nostra indolenza, ai nostri assurdi pregiudizi, alla trasformazione criminale dei diritti civili in concessioni, al vittimismo, ecc.
Ciò premesso, credo che sia venuto il momento, abbandonando ogni comoda o malinconica ipocrisia, di prendere atto della condizione in cui ci troviamo e, senza sentirci traditori di nessun ideale legato alle nostre origini culturali, di orientarci verso un unico obiettivo: il bene comune della nostra terra, senza alcun tentennamento!
Se ne siamo convinti, se crediamo che, prima di cedere al neo-consumismo securitario, sperperone o qualunquista, ma comunque legato all’economia speculativa, si possa ancora fare qualcosa in favore della società reale, parliamone civilmente e liberamente insieme, magari evitando sterili polemiche, inutili frasi fatte o narcotizzanti velleitarismi.
Gli argomenti da affrontare non è necessario che siano complessi, né che vengano pomposamente sfoggiati, come fanno i pavoni quando mostrano la loro maestosa coda. Basta poco, basta tanta volontà, tantissima passione civile e un pizzico di buonsenso.
Credo che il pensiero più semplice e sgrammaticato di una persona autentica, una di quelle che vive drammaticamente i problemi concreti di ogni giorno, sia molto meglio di un miliardo di violente, ma inattendibili, bufale, costruite in laboratorio per imbonirci o soggiogarci e sia molto più saggio di certe dotte frasi fatte, scopiazzate di qua e di là e sbattute sui social, in maniera velleitaria e superficiale.
Credo che la sincerità e l’esperienza delle persone perbene valga mille volte di più di qualsiasi astiosa invidia, di interessati egualitarismi, di strumentali solidarietà, di squallide menzogne, ecc…
A mio avviso, i punti di partenza per un iniziale confronto civile possono essere tre: la responsabilità, le risorse, la perequazione.
La responsabilità, che ci impedisca di cercare comodi colpevoli, sui quali scaricare errori che sono nostri; le risorse, per il cui pieno utilizzo siamo noi siciliani a dover trovare valide soluzioni; la perequazione infrastrutturale, perché fino a quando non avremo le stesse strade, gli stessi aeroporti, le stesse ferrovie di cui dispongono altre regioni d’Italia, il Paese non sarà veramente unito.
Molti, a questo punto, si soffermano sullo statuto autonomistico e si fanno irretire nello sterile confronto tra chi vuole una “carta” che ci dia competenze più allargate e chi non la vuole affatto, determinando una preoccupante situazione di stallo, buona solo per chi ama la nostra terra solo a parole.
Beh! Lo Statuto sarebbe già tanto se riuscissimo ad applicarlo; per farlo non bisogna chiederlo a nessuno che si trovi al di là dello Stretto di Messina: spetta a noi e basta!
Intendo dire che se la burocrazia regionale non funziona, se i nostri imprenditori non fanno rete, se gli ospedali vanno a rilento, se i Comuni non si sanno amministrare, la colpa non è né di Roma, né di Milano ma nostra: dunque, muoviamoci! Nessuno lo farà al nostro posto!