Per comprendere la situazione nella quale si trova la nostra regione e gli effetti della politica centralistica che ne ha stabilito le sorti, con l’obiettivo di tentare di modificarne gli esiti, è bene sintetizzare alcuni dati, piuttosto significativi, ai fini di qualsiasi valutazione volta a costruire un preciso cambiamento di rotta. 

Su 5 milioni di residenti in Sicilia ci sono solamente un milione e trecentomila occupati (considerato anche il sommerso), mentre i disoccupati sono un milione, cifra che si ottiene sommando i 380 mila iscritti nelle liste di collocamento e quelli silenti (il dato è incontrovertibile perché la forza lavoro in Sicilia è di 2 milioni e 300 mila unità, quindi il numero dei disoccupati si ottiene sottraendo a questi gli occupati).

La disoccupazione, quindi, è al 22%, mentre quella giovanile sale al al 57%.

Negli ultimi 10 anni sono stati persi 130 mila posti di lavoro.

Le famiglie a rischio di povertà sono il 55% (in Puglia il dato scende al 47% ed in Campania al 46%).

Il reddito pro-capite è di 17.200 euro, a fronte di 42.600 euro a Bolzano e di 36.600 euro in Lombardia.

La Sicilia, in 10 anni, ha perso il 12% del PIL.

L’indice di competitività europeo ci colloca al 237° posto su 263 regioni.

I giovani tra i 18 e i 24 anni che non si formano e non cercano lavoro sono il 41% (dopo di noi ci sono solo la Bulgaria e la Guyana francese).

La Sicilia ha il più alto numero di cittadini residente all’estero: 800 mila: un sesto degli abitanti della regione.

Oltre 25 mila siciliani, ogni anno, lasciano la Sicilia realizzando uno spopolamento storico.

La situazione descritta costituisce l’effetto di anni di politica dirigistica che ha visto la Sicilia non come un’opportunità ma come un peso ed ha utilizzato il consenso per arricchire altre aree del paese, in perfetto stile colonialistico. 

Persino i recenti, cosiddetti, “piani di sviluppo” non guardano alla valorizzazione delle risorse o alla perequazione infrastrutturale, che producono lavoro, ma ai sussidi, che producono assistenzialismo. 

In queste condizioni, la via d’uscita non può che essere un partito siciliano, di siciliani, che risponda alla Sicilia ed alle sue reali esigenze, sulla falsariga della Sudtiroler wolkspartei o della Union Valdotaine.