Nella concezione della vita che emerge dalle opere di Giovanni Verga, uno dei più grandi letterati italiani, non c’è la luce della Provvidenza che c’è nella letteratura manzoniana, ma il cieco Fato che domina inesorabile.
La concezione religiosa dell’autore catanese è quella di una sorta di fede primitiva, una religione che induce ad accettare rassegnati la realtà cosi’ come essa è, vale a dire una realtà che trova il suo tempio nel focolare domestico, che ha i suoi affetti più profondi nel rispetto per l’onore della famiglia, per i figli, per la casa, per la donna, per la legge e per la tradizione.
Ciò che Verga esprime nelle sue opere è una religione della rassegnazione, del destino immutabile, non quella della consolazione e della elevazione.
La sua è una concezione della vita e dell’atteggiamento civile assai modesto, che ha molta responsabilità negli squilibri tra il Nord ed il Sud e nella contrapposizione tra le due zone e tra la loro diversa evoluzione sociale.
La rassegnazione di Verga somiglia molto all’atteggiamento messianico di molti siciliani, secondo i quali su’ tutti i stissi, non cancia nenti, chisa è ‘a vita, nel senso di: questo è il destino, dunque prendiamolo come viene, dato che è inutile opporvisi.
I vinti di oggi sono gli sconfitti, i prodotti di scarto di una società che ha bloccato l’ascensore sociale e che non permette alcun tipo di miglioramento, costringendo a un’esistenza accelerata. Sono coloro che abitano nei quartieri degradati delle periferie delle nostre città dimenticati dal progresso, che corre sul binario della diseguaglianza.
I modi di dire che confermano quella che è una mentalità alla quale, salvo qualche rara eccezione storica, non è stata insegnata né la reazione, né la partecipazione, sono tanti: O sorti o morti; Chista è ‘a vita; cu’ ‘a voli cotta e cu’ ‘a voli crura, che fotografa l’atavico individualismo disorganizzato dei catanesi; o ancora meglio, ‘a pignata ‘ncumuni non vugghi mai, che porta ad accontentarsi, a non collaborare, a diffidare, a rassegnarsi, picchì ogni fighiteddu di musca è sustanza.
Ma gli effetti della mentalità dei vinti li si possono desumere anche da altri modi di dire com’è: fatta la liggi si trova l’ingannu, che induce a non credere nelle regole della comune convivenza, in quanto facilmente eludibili.
Oppure fatti ‘a nomina e va’ cucchiti, che spinge a non fare più di tanto perché, e torniamo a quanto già detto: non cancia nenti, su’ tutti i stissi!
Anzi, ci si spinge ad andare oltre non partecipando al al cambiamento ed al miglioramento, bensì al pedissequo mugugno: sta’ beni, lamentiti!
Spingendo altresì verso l’opportunismo più avanzato che trasforma il motto latino carpe diem in ogni lassata è pidduta.
Ad ogni modo, cari amici lettori, si i cosi stanu accussì non n’arresta di diri ca cu fici fici perché non c’è più tempo per fare alcunché.
Invece, fortunatamente, non è affatto così, le cose possono cambiare, possono migliorare e non è vero che ogni ipotesi è una semplice utopia in quanto finu a quannu c’è ciatu c’è spiranza. Forza Catania!