L’espressione “mucca lapuni” oppure la sua variante “ammucca lapuni”, in italiano può essere tradotta letteralmente con ingoia calabroni, ovvero, più precisamente, grosse api, magari facendosi del male.
La colorita definizione viene utilizzata per indicare un credulone, una persona che davanti a qualcosa che gli viene detta o che vede resta spesso a bocca aperta, tanto aperta da rischiare di ingoiare anche un calabrone!
In maniera più metaforica, l’espressione in questione viene adoperata anche per mettere in guardia qualcuno, al fine di non credere a qualsiasi cosa gli venga detta, né di credere alla buona fede di chi gli parla, perché si potrebbe trattare di questioni non vere, tanto da provocare qualcosa di pericoloso.
La definizione in questione presenta una serie di varianti come ad esempio “ammucca aciddazzu, vale a dire ingoia tutto, stupido fesso, gonzo credulone, uccellaccio! Che viene utilizzata dal grande Nino Martoglio nella sua famosa commedia “l’Aria del continente”.
Ma si può dire anche “ammucca Totò” ovvero, nella formula più ampia, “ammucca Totò ca nespuli sunu”, con ciò alludendo al fatto che ciò che è finito nella bocca del povero Totò non è qualcosa di pericoloso, ma una succulenta nespola.
A proposito di questo nome, particolarmente diffuso in Sicilia e non solo, sempre allo scopo di aiutare il solito carabiniere di Belluno o di Pordenone chiamato a sbobinare una intercettazione, è bene precisarne l’origine di natura chiaramente popolare.
Totò rappresenta un ipocoristico, ovvero un accorciamento o una modificazione, di almeno due nomi: Antonio e Salvatore.
Nel primo caso si tratta di una variante, cioè di un’apocope, dell’originario Totonno, che a sua volta è una variante di Antonio.
Nel secondo caso, Totò consiste in un’apocope dell’originale Totore, che costituisce una variante meridionale del diffusissimo Salvatore.
Considerando la sua origine, la trascrizione più corretta dovrebbe essere Toto’ con l’apostrofo finale, tuttavia va bene anche la versione con l’accento sulla seconda “ò”.
Come già detto, il nome Totò risulta maggiormente diffuso nel Mezzogiorno, in cui si usa abitualmente sia come derivato di Antonio sia, più frequentemente, come derivato di Salvatore, forse anche perché è proprio più diffuso il nome dal quale origina.
In ogni caso, il nome deve molta della sua fama e della sua diffusione, oltre che alla sua brevità, anche al celebre ed inimitabile attore comico Totò, appunto, che usava questo nome d’arte, preferendolo al suo vero nome che era Antonio De Curtis.
Ad ogni modu amici mei, Totò è Totò macari ca si rifirisci all’ex presidente della Regione Totò, che per distinguerlo da altri Totò, viene completato da una sua affettuosa caratteristica: vasa vasa cioè incline a gesti affettuosi come i saluti accompagnati da abbracci e baci.
Insomma, l’ama rittu sempri: u’ sicilianu non è ppi tutti. Ppi ‘mparari u’ sicilianu ci volunu tri laurii e di sti tempi iri all’univessità costa caru. Megghiu ca unu si fa ‘na bella passiata a via Etnea ‘nsemi a ‘n’amicu catanisi e rispammia tempu e macari soddi.
A proposito, oltre alle varie versioni del nome proprio di persona Totò, c’è anche un totò nome di cosa.
Esiste infatti il totò inteso come dolce della tradizione locale. Si tratta di semplici biscotti al cioccolato, con una leggera glassa, sempre al cioccolato.
I totò sono tipici della città di Catania e di alcuni altri paesi della Sicilia orientale, in cui si consumano soprattutto durante la commemorazione dei defunti e, più in generale, nel periodo della fine dell’anno.
Il nome di questi biscotti non è assolutamente legato al grande Totò. Si dice, ma non ci sono specifiche evidenze, che siano stati chiamati così dal nome del primo ragazzo che li assaggiò, o forse dal nome dei primo pasticcere che li realizzò.
Chisti sì ca sunu i misteri di Catania, no chiddi ca si leggiunu na cetti sintenzi unni non si capisci mai di cu’è a cuppa. E l’avvucati s’arricriunu: ammucca Totò! Ca quannu si cunta è nenti!
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