Io l’ho sempre detto, la lingua siciliana è difficile, non tutti si possono permettere di parlarla o di capirla. Persino il sottoscritto, qualche volta, di fronte ad alcune parole o ad alcuni modi di dire, resta perplesso, soprattutto quando sente fare un discorso a trasi e nesci.
Sono sicuro che adesso volete sapere di cosa si tratti, e se non lo volete sapere ve lo dico lo stesso.
Si tratta di una tecnica retorica e diplomatica sicula il cui contenuto del discorso, che in teoria dovrebbe avere lo scopo di esprimere una opinione riguardo ad una specifico argomento, risulta invece talmente arzigogolato che il flusso superfluo di informazioni si vaporizza non appena raggiunge il cervello dell’interlocutore, lasciando quest’ultimo con la sensazione di avere appena dialogato con il fumo di una “arrustuta” di canni di cavaddu. 
Si paragona, per efficacia, alla tecnica della “supercazzola come se fosse antani, con la scappellatura a destra o a sinistra”.
Fari ‘n discussu a trasi e nesci vuol dire dire tutto senza dire niente, oppure non dire niente fingendo di aver detto tutto.
I più abili nell’arte di parrari a trasi e nesci riescono persino ad intercalare nel comune linguaggio dialettale o in lingua anche ‘u baccagghiu, del quale abbiamo ampiamente parlato in un altro volume.
I più bravi in questo particolare modo di discutere sono, di solito, alcune categorie di persone ben note: i politici, i delinquenti, gli avvocati, i giornalisti e quelli che non sanno nulla di niente, ma tentano di bluffare, illudendo gli interlocutori, affinché credano di essere persone di cultura.
Ca quali cultura e cultura: sunu scecchi cu’ tantu di cura, ca non sanu nenti di nenti e si fanu passari ppi essiri ‘ntiligenti.
A Catania di persone capaci di parlare a trasi e nesci ce ne sono parecchie ed individuarle non è difficile, basta soltanto stare attenti a quello che dicono, ai verbi che usano e guardare i loro gesti, che di solito sono particolarmente ampi e teatrali.
Gli esperti in trasi e nesci usano molto i verbi coniugati al condizionale, infarciscono i loro discorsi di parole come: sembra, pare, forse, può darsi, chissà, ecc. E soprattutto roteano i palli di l’occhi ppi non fariti capiri chiddu ca volunu diri, accussì si tu ‘nsetti ponu sempri diri ca non capisti nenti.
Il grande Gigi Proietti, molto probabilmente dopo una visita nella nostra città, diede vita ad un suo personaggio notissimo: Pietro Ammicca, che si esprimeva proprio così.
In effetti chi parla a trasi e nesci ammicca, ammicca parecchio, ammicca, per dirla con un notissimo politico catanese della seconda metà del secolo scorso, “dice il contrario di quello che pensa, per fare capire il contrario di quello che dice”.
Ebbene sì, il linguaggio dei catanesi è davvero difficile ma adesso, iemini a pigghiari ‘n bellu scialacori ‘nto chioscu di Giammona, e ni passamu a vucca c’appilai.