sez di Ibrahima Sory Bangoura
Il 18 ottobre 2024, il centro studi “Med_Mez. – Napoleone Colajanni” ha organizzato con la collaborazione e nei locali del “Centro di Cultura” di Piazza Armerina un incontro dal titolo “Il futuro oltre i confini”. Per prima cosa, dopo i saluti della presidentessa dell’ente ospitante, dott.ssa Falcone, il presidente del centro studi, dott. Garofalo ha tenuto un breve intervento per introdurre del tema della serata. In seguito, due relatori, anch’essi soci “Med_Mez – Napoleone Colajanni”, hanno parlato delle sfide che affrontano gli stranieri che giungono in Europa con la speranza di potervisi installare per perseguire le proprie aspirazioni d’avvenire. La dott.ssa Grano de Oro ha raccontato in prima persona la sua esperienza migratoria durante la quale, alle difficoltà legate al percorso di regolarizzazione amministrativa, si sono accumulate quelle legate ai pregiudizi di cui era stataoggetto, non solo in quanto straniera, ma anche in quanto donna. Il dott. Fano, invece, ha tenuto un discorso più generale. Da un lato, ha riflettuto sul fatto che l’attuale sistema di accoglienza, i media e i pregiudizi diffusi nella società civile orientano in modo negativo l’integrazione dei nuovi arrivati, facendone dei cittadini di serie B molto vulnerabili a forme di sfruttamento lavorativo. Dall’altro, ha evidenziato che questo modo di gestire i flussi, non è solo contrario ai principi etici di cui l’Occidente si fa promotore, ma è anche e soprattutto miope, perché spreca delle forze che, se fossero valorizzate, parteciperebbero in modo molto più significativo allo sviluppo dei paesi di accoglienza.
Io sono stato invitato ad assistere a questo evento e a scrivere questo articolo proprio dal dott. Fano – che ringrazio per aver revisionato la forma, senza alterare il contenuto – nell’ambito del percorso che sto seguendo presso l’ambulatorio di etnopsichiatria di Pergusa, gestito dal Consorzio Umana Solidarietà in convenzione con l’ASP 4 di Enna, di cui lui stesso è membro.
Questo testo non è un semplice resoconto di quanto detto durante la conferenza, ma è una riflessione personale che nasce da come queste parole hanno risuonato profondamente con la mia esperienza di giovane straniero arrivato in Italia a sedici anni, circa un anno fa, alla ricerca di un’opportunità per realizzare il mio sogno di diventare giornalista.
La prima constatazione che tutti e tre i relatori – e io con loro – hanno fatto è che il fenomeno migratorio contemporaneo è al centro di un dibattito acceso e complesso, in cui, sia in Europa che nel resto del mondo, si scontrano opinioni, idee e proposte molto diverse e contradditorie, al punto che sembra impossibile giungere a una sintesi tra esse, e tantomeno a una vera soluzione della questione.
Questo accade, però, soprattutto perché questo dibattito è influenzato dalle voci di chi, aprioristicamente, non riconosce il valore intrinsecamente positivo della migrazione (ad esempio, in quanto volano di scambio tra popoli e idee) ma ne enfatizza solo gli aspetti negativi, manipolando l’opinione pubblica al fine di ottenere successi elettorali e promuovere i propri interessi.
Queste persone dipingono la presenza degli stranieri sul territorio come la causa di tutti i mali del loro paese, e, coerentemente con questa visione, promuovono leggi dure e repressive al loro riguardo. Tali normative, che tendono a restringere l’accesso alla regolarizzazione amministrativa, a intensificare i respingimenti e le espulsioni, nonché, in generale, a peggiorare le condizioni di accoglienza, hanno conseguenze pesanti per coloro che ne sono colpiti.
L’obiettivo di questo articolo è proprio cercare di far un po’ più di luce sulle difficoltà affrontate a causa di questo stato di cose, sia durante il viaggio che una volta giunti sul suolo europeo, da quegli stranieri che, come me, vengono definiti “migranti” nel linguaggio corrente.
Come ho appena accennato qui sopra, infatti, questi ultimi sono spesso dipinti come una minaccia all’ordine sociale e, di conseguenza, nei paesi di accoglienza si trovano a fronteggiare non solo atteggiamenti ostili da parte della popolazione locale, ma anche normative repressive che ne limitano la libertà d’azione e i diritti fondamentali.
Detto in altri termini, nel corso del loro percorso d’integrazione, si ritrovano intrappolati negli ingranaggi di quello che, nella pratica, costituisce un moderno dispositivo di sfruttamento coloniale. Questo, nella quotidianità di chi ne è soggetto, si traduce in una situazione di vita caratterizzata da unalotta continua per soddisfare i propri bisogni e realizzare le proprie aspirazioni, affrontando non solo ostacoli e difficoltà materiali di ogni genere, ma anche le conseguenze psicologiche dei rifiuti, dei sogni infranti, dell’esser vittima di xenofobia e razzismo, della preoccupazione costante per il futuro, nonché dello sfruttamento lavorativo.
Queste esperienze, almeno in parte, sono legate proprio alla struttura del dispositivo di accoglienza, e rendono ancora più gravosa, ardua e complessa la battaglia di quanti vi sono inseriti per garantirsi la sopravvivenza, conquistare la propria libertà e perseguire i propri sogni.
Da questo punto di vista, la dimensione amministrativa svolge un ruolo centrale facendo sì che gli stranieri che giungono in Europa in cerca di un luogo in cui realizzare i propri progetti di vita, in dall’inizio, non siano tutti uguali, ma sia possibiledistinguere almeno due categorie.
Da un lato, ci sono coloro che riescono a ottenere un permesso di soggiorno temporaneo o definitivo e, pertanto, possono viaggiare in tutta sicurezza, servendosi di aerei, treni, traghetti e autobus di linea. Questi, anche se magari si sentono obbligati a lasciare la propria terra contro la loro volontà, sono comunque nelle condizioni di organizzarsi e prevedere in modo piuttosto preciso il tragitto da percorrere e la destinazione da raggiungere. Così, i loro spostamenti sono piuttosto sicuri, non eccessivamente costosi e abbastanza rapidi.
Dall’altro, invece, ci sono coloro che, senza aver potuto ottenere un visto, sono costretti ad affrontare tutto un altro viaggio, pieno d’insidie e ostacoli, in cui fanno l’esperienza di una paura incessante, indefinita e opprimente. Prima, si tratta di superare il deserto con tutto quello che vi s’incontra: serpenti, scorpioni e altri insetti pericolosi, il gelo durante la notte, il caldo soffocante durante il giorno, la fame, la sete, i check-point dell’esercito, gli assalti delle milizie irregolari, le azioni dei gruppi criminali e tante altre difficoltà. Poi – non è finita! – rimane ancora da affrontare il mar Mediterraneo, con le sue onde che spesso sembrano invalicabili, soprattutto osservandole da barche inadatte e sovraccariche, che trasformano ogni traversata in un viaggio carico di paura, tra il rischio di naufragio e il timore di diventare preda degli squali e di altre creature marine.
Tutto questo, aggiungendosi alle esperienze personali accumulate prima di partire, che spesso sono quelle che hanno spinto a partire (ad esempio, le guerre e i conflitti etnici o religiosi, le situazioni di segregazione razziale, la tratta di esseri umani, i matrimoni forzati, …), e eventualmente a predisposizioni fisiologiche, finisce per produrre, o almeno aggravare, traumi, patologie e problemi di vario tipo, che possono risultare in incubi ricorrenti, disturbi dell’adattamento, fobie, …
Introducendo un ulteriore spunto di riflessione, è interessante notare che, nonostante le differenze nel tipo di viaggio che compiono, queste due categorie di viaggiatori sono, alle volte e in parte, confrontati con le stesse sfide una volta raggiunto il suolo d’Europa, ovvero la loro “terra promessa”. I membri di entrambe, infatti, provano una gioia smisurata e immensa all’arrivo, che rischia però di trasformarsi in disperazione in modo repentino in funzione dell’andamento del loro percorso di regolarizzazione amministrativa che è influenzato, tra l’altro, dai cambiamenti improvvisi e imprevedibili delle norme sull’immigrazione.
In generale, nel dibattito in seno alle istituzioni e alla sfera pubblica, non si parla abbastanza delle difficoltà che gli stranieri incontrano nel corso del loro cammino di integrazione sociale, culturale e amministrativa nei Paesi di accoglienza.
Ad esempio, trovo che vengano troppo poco discusse, e perciò spesso sottovalutate, quelle legate agli atteggiamentiindividuali, ai comportamenti sociali e alle pratiche istituzionali che potremmo definire xenofobe con cui, spesso, la popolazione locale si rapporta ai cosiddetti “migranti”. A tal proposito, sarebbe necessario dare più peso a due aspetti importanti. In primo luogo, comprendere che questi modi di fare sono l’espressione di un sentimento misto di ostilità e paura provata verso chi, essendo percepito come “altro da sé”, è acriticamente considerato unaminaccia potenziale, se non un vero e proprio nemico. In secondo luogo, rendersi conto che questo pregiudizio è gravido di conseguenze proprio perché, spingendo molti europei a provare inquietudine, li porta ad approcciarsi ai nuovi arrivati con sospetto. Così, questo timore diventa un ulteriore ostacolo al processo d’integrazione degli stranieri nel corpo sociale, quantomeno rallentandolo, perché impedisce un “vero” incontrocon i locali. Tanto più che, questo sentimento di diffidenza che pervade le interazioni quotidiane, si ritrova anche a livello delle istituzioni pubbliche, nonché di molte associazioni e cooperative, che invece avrebbero il compito di facilitare il percorso d’inserimento dei migranti. Senza contare, tra l’altro, che l’attività di tutti questi enti pubblici e privati è spesso limitata da ostacoli strutturali, cioè dalle leggi e dalle normative o semplicemente dalla scarsità delle risorse, e che purtroppo, alle volte, questi servono solo a portare avanti truffe organizzate sulla pelle dei più deboli.
Alla luce di ciò, non è difficile capire a che punto questo genere di fenomeni impattano in modo negativo sulla vita di un migrante: il rischio, infatti, è di veder infrangersi i suoi sogni, ritrovandosi a fare un lavoro molto al di sotto delle sue capacità e aspettative, sia esistenziali, sia salariali.
Detto in altri termini, l’integrazione degli stranieri non è solo ostacolata, o comunque rallentata e potenzialmente orientata verso dinamiche di conflitto, dai discorsi xenofobi che, circolando sui media e infettando il dibattito tanto nella sfera pubblica, che a livello istituzionale, costruiscono la paura reciproca tra questi e i locali. Oltre a ciò, non dobbiamo dimenticare la diffusione di contratti sottopagati, delle pratiche truffaldine di subappalto in nero e del “capolarato”, tutte trappole in cui gli stranieri finiscono per cadere, a volte nella speranza (il più delle volte vana) che gli permetteranno di regolarizzarsi, altre per semplice assenza di alternative.
Come ho accennato prima, credo che queste dinamiche sianomanifestazioni di una forma moderna e occulta di sfruttamento coloniale, in cui uno degli aspetti chiave per il funzionamento del dispositivo è proprio celare l’effettiva importanza dei flussi migratori per le società europee. Tuttavia, come sottolineato anche nel corso della conferenza, uno sguardo attento non può non notare che questo modo di gestire i flussi e la presenza di stranieri sul suolo europeo è molto miope da parte dei paesi di accoglienza perché non gli permette di valorizzare come potrebbero la maggior parte dei nuovi arrivati.
Non dimentichiamo, infatti, che il fenomeno migratorio implica la partenza di braccia valide, di cervelli pensanti e di ingenti capitali dai paesi del terzo mondo verso quei luoghi in cui le persone sperano di avere più libertà di perseguire i propri sogni di realizzazione personale tramite il lavoro… Il che significa che, se fossero lasciati liberi di inseguire le proprie aspirazioni, questo andrebbe anche a beneficio dei paesi di arrivo in cui, se messi in regola, non solo pagherebbero le tasse, ma in generale,parteciperebbero allo sviluppo economico, sociale, culturale e politico.
Guardiamo, ad esempio, all’Italia. È un grande paese di accoglienza in cui i migranti rappresentano circa il 7,4% della popolazione e contribuiscono al 18% del PIL, oltre a pagare circa 13,3 milioni di euro di tasse. Tra l’altro, il contributo degli stranieri è particolarmente importante nell’agricoltura, che è un settore fondamentale per l’economia del Paese: lungo tutta la Penisola, infatti, ci sono circa 400.000 stranieri regolari che assicurano il 32% delle giornate di lavoro… E questo senza contare coloro che sono impiegati in nero, o abitualmente perché, non avendo il permesso di soggiorno, non hanno alternative, o saltuariamente perché, essendo appena arrivati, cercano di arrotondare il pocket money con qualche giornata di lavoro, magari per poter mandare dei soldi a casa.
Tra l’altro, non dobbiamo dimenticare che, sia il contributo dei migranti, sia il fenomeno del loro lavoro sommerso, non riguarda solo l’agricoltura, ma moltissimi altri ambiti: le costruzioni, i piccoli commerci, come ad esempio le officine di autoriparazioni o di carrozzeria, le imprese di pulizie, la pesca, la ristorazione, l’allevamento, …
Proseguendo con il nostro ragionamento, è importante anche sottolineare che un ulteriore aspetto positivo derivante dalla presenza dei migranti in Italia potrebbe essere l’abbassamento dell’età media della popolazione, con conseguente beneficio per la sostenibilità del sistema pensionistico. Infatti, l’Italia è uno dei Paesi più anziani del mondo (circa il 23% dei cittadini ha più di 65 anni) e le prospettive future non sono promettenti, considerando il continuo calo della natalità (ad esempio, nel 2022, il Paese ha registrato circa 400.000 nascite a fronte di 700.000 decessi).
Si capisce quindi che quegli stranieri che chiamiamo, a volte in modo velatamente dispregiativo, “migranti” rappresentano in realtà una risorsa di grande importanza in molti ambiti. Non solo l’Italia, ma tutti i paesi del Vecchio Continente, infatti, traggono vantaggio dall’impegno e dai risultati del lavoro degli stranieri installati sul loro territorio.
Un esempio di ciò, che però spesso sfugge alla nostra attenzione, forse proprio perchè così davanti ai nostri occhi, è lo sport. In Francia, per citare uno dei casi più evidenti, la nazionale di calcio conta tra il 70% e l’80% di giocatori con origini straniere, la maggioranza dei quali perché i loro genitori sono nati fuori dal Paese, ma alcuni addirittura perché loro stessi lo sono. Tra l’altro, anche in Italia s’incontrano sempre più di frequente circostanze simili: pensiamo al contributo fondamentale di Paola Egonu e Myriam Fatime Sylla, protagoniste della medaglia d’oro conquistata dalla nazionale femminile di pallavolo. Se consideriamo queste situazioni per quello che sono, non possiamo non renderci conto che si tratta di giovani che gareggiano, non solo per sé, per rendere i propri genitori fieri e per portare prestigio alla propria famiglia, ma anche nel nome del Paese che li ha accolti, a cui portano onori e riconoscimenti.
Posso concludere osservando che, per tutte queste ragioni, i media, anziché sprecare tempo a trattare in maniera superficiale, se non addirittura a distorcere fino a caricaturizzare, le questioni legate all’immigrazione e, più in generale, alla presenza di stranieri in Europa, dovrebbero invece porsi delle domande più profonde a riguardo. Ad esempio: quale impatto economico ha la presenza di stranieri in Europa? Perché così tante persone cercano di arrivare nel Vecchio Continente, e perché la maggior parte di loro è sempre più giovane? Quali sono le loro aspirazioni? Ciò che ci aspettiamo da loro nei diversi settori della vita sociale è in linea con i loro desideri?
Fare riflessioni di questo tipo, infatti, è assolutamente necessario perché solo così possiamo veramente comprendere la realtà del fenomeno migratorio contemporaneo, con cui abbiamo a che fare quotidianamente ma che spesso viene distorta dalle narrazioni che ne vengono fatte. Se vogliamo riuscire a gestire i flussi migratori in modo giusto ed efficace, dobbiamo comprenderne le dinamiche e, per poterlo fare, dobbiamo passare da una visione emotiva, in cui la migrazione è considerata esclusivamente come un problema, a una prospettiva più realista e significativa, in grado di cogliere le contraddizioni insite nel fenomeno e nella presenza di stranieri in Europa.