‘Mpari, chi si rici? Tuttu a postu? Comu semu cumminati?
Ma! Chi t’a diri? N’addifinnemu. E vui ‘mpari?
Ca nenti: cummattemu, prima ca ni finisci a tri tubi.
Avaja va…, non faciti accussì!…
Avaja ‘mbari, tagghiatila. Non è ca pò fari chiù scuru di menzannotti! Non fari u’ pagghiolu, ogni figghiteddu di musca è sustanza. Allura iù c’avissa diri? Ca quannu si cunta è nenti. Finu a quannu non ni finisci ai 3 canceddi ama diri ca va beni, appoi si viri e si pensa!
Quante volte abbiamo assistito ad una conversazione di questo tipo? Immagino migliaia di volte e ogni volta le prime battute le abbiamo ripetute a memoria, perché sono sempre le stesse.
Il Catanese è fatto così, prima di rivelare qualcosa su se stesso parla per frasi fatte e cerca di sapere lui qualcosa del suo interlocutore.
Tuttavia bisogna subito dire che ‘mpari non è la stessa cosa di cumpari, anche se ci somiglia. ‘Mpari può essere un intercalare, un modo confidenziale, un’interlocuzione e tanto altro.
Il catanese è come se volesse prendere le misure prima di stabilire quale dovrà essere il livello di confidenza da imporre alla conversazione.
Insomma, in simili circostanze, il catanese si comporta come i cani quando si incontrano: si ciaurunu ‘i naschi e poi decidono se giocare, se aggredirsi o se farsi i fatti loro.
Ecco, il catanese è proprio così, prima di lasciarsi andare preferisce capire entro quali limiti possa parlare, altrimenti si rifugia nei luoghi comuni: chi si rici?, tuttu a postu. Cummattemu, n’addifinnemu, ecc.
Anni di dominazioni straniere ci hanno insegnato che prima di aprirci dobbiamo ben conoscere con chi stiamo parlando, anche se ogni tanto ci lasciamo andare, cosa che può provocarci parecchi problemi.
Il catanese, infatti, non si lascia andare come gli altri, il catanese si sduvaca, si lassa curriri, sciogghi a curuna e parra finu a dumani matina.
Insomma se decide di parlare lo fa senza stare troppo a pensare quali possano essere le conseguenze delle cose che dice, e poi se ne pente.
Se il catanese comincia a parlare, e lo fa nella convinzione di poterlo fare, vale a dire che si è reso conto che si può fidare del suo interlocutore, ppi fimmallu non c’abbasta mancu ‘n cafè. Fossi sulu ‘na bedda carusa ca ci passa davanti ‘u po’ fari fimmari!
Penso che a descrivere alla perfezione il catanese sia stato il grande Nino Martoglio. I personaggi delle sue esilaranti commedie: Cicca ‘a Stonchiti, Don Procopiu u’ ‘mpallacchieri, i civitoti, ed altri, descrivano in maniera impeccabile lo spirito, il modo di fare e la personalità del tipico “figlio dell’Etna”, freddo come la neve e caldo come la lava, sempre pronto a sfruttare qualsiasi assist che gli dovesse venire agevolato dal suo interlocutore.
Il catanese non arresta mai arreri. Lui è pronto a replicare qualsiasi affermazione che lo riguardi o che riguardi l’argomento del quale sta parlando, anzi, del quale sta declamando.
Lui, infatti, declama, proprio come il migliore degli attori della tragedia greca, dai cui personaggi ha ereditato sia l’ironia, sia il dramma, che interpreta alla perfezione.
Verga, Capuana, De Roberto, Patti, Brancati, Martoglio, e tanti altri autori, non potevano che essere nati o avere a lungo vissuto a Catania, perché Catania è un teatro a cielo aperto ed ogni sua piazza, ogni sua strada è un grande palcoscenico naturale aperto a tutti.
Cari furasteri, ‘u capisturu? Viniti a Catania ca è comu iri o’ tiatru, sulu ca cà non si pava u’ bigliettu e non si pava mancu a SIAE.
Cà, a Catania, s’arriri gratis. Viniti ca vaspittamu e non vi ni pintiti. Ascutati a mia ca non sugnu Don Procopiu, ma, senza offisa ppi nuddu, c’assimigghiu assai.