Quante volte vi siete sentiti rivolgere questa sorta di invocazione? Io me la sento dire da sempre, perché mia madre, per vincere la mia ritrosia nel mangiare alcuni alimenti a poco graditi, mi proponeva di farlo senza pane, cioè al netto di qualsiasi altro alimento che potesse ulteriormente appesantirmi.
Ma chi, erunu tutti scusi e mia madre se ne accorgeva e ad ogni mio no si innervosiva sempre di più, fino a perdere le staffe.
Il catanese, di solito, è di buona forchetta, pranza tardi e cena ancora più tardi, sia per motivi legati al lavoro che svolge, sia a causa delle alte temperature che non invogliano a consumare il pasto.
Come ho detto in un’altra pubblicazione, a Catania e’ novi i puppetti sunu ancora cavaddi. E’ novi cca non ha nisciutu ancora nuddu.
E poi il catanese non si limita a dare una sola definizione del mangiare. Iddu si ni va a pistiari, oppuri a cancariari, a secunnu di quali quatteri veni e comu ha statu arucatu ‘nta so’ famigghia.
U’ catanisi s’ammucca o si cala macari a Don Cola carogna, nel senso che mangia con parecchio appetito e senza limiti quantitativi.
Ma stiamo attenti alle parole, soprattutto per non confondere il solito carabiniere di Belluno o di Pordenone, intento a sbobinare una intercettazione, il quale, avendo poca dimestichezza con certe sottigliezze linguistiche potrebbe fare confusione.
Il termine ammuccari, infatti, che letteralmente significherebbe imboccare, può anche significare abboccare, come i pesci all’amo, che vuol, dire ben altra cosa.
E non solo, perché può significare anche che si ha a che fare con un credulone. In questo caso potremmo i sentir dire ammucca Totò, ca nespuli su’, che vuol dire che la persona alla quale intendiamo riferirci ha l’espressione di chi si stupisce di qualsiasi cosa e sta perennemente a bocca aperta.
A proposito di mangioni, un’altra espressione tipica del catanese, quando si rivolge a qualcuno dotato di particolare appetito è t’a cali a spisa oppure t’a futti ‘a spisa…
Ma anche questa volta bisogna fare attenzione, perché la medesima locuzione può significare che la persona alla quale ci si intende riferire è particolarmente furba e quindi: quattru fila si mangia.
Ma facciamo attenzione anche alla parola calari. Pure in questo caso, infatti, i significati da dare alla parola possono essere diversi a seconda delle circostanze.
Ad esempio, calarisi ‘n muzzucuni significa mangiare un boccone, magari in fretta e furia, calarisi ‘na cona, significa mangiare molto, ma calarisi u’ dutturi ‘nto librettu da’ mutua non vuol dire aver fatto del proprio medico un sol boccone, ma aver trascritto il nome del proprio medico di famiglia nella tessera sanitaria.
Calari o’ funnu, infine, significa andare a fondo, magari a mare, oppure approfondire una determinata questione particolarmente complessa.
Volendo restare in ambito alimentare, poi, c’è chi allicca a sadda, letteralmente lecca la sarda, che in forma traslata vuol dire che ha una vita grama, tanto da doversi accontentare di mangiare sarde salate, anche senza sarde, e nient’altro.
Infine c’è una frase che non è un invito a mantenere ben pulita la bocca durante il pasto, bensì la comunicazione che la persona alla quale è rivolta non ha nient’altro da aspettarsi: astuiti u’ mussu!
No, caro il mio carabiniere di Belluno o di Pordenone, il siciliano non è facile né come linguaggio, né come popolo. Il siciliano bisogna saperlo conquistare: ci hanno provato ben quattordici volte ma non ci sono riusciti e ne sono rimasti conquistati.
Sì, però ni trattunu sempri mali. Venunu, taliunu, si futtunu tuttu chiddu ca si ponu futtiri, mangiunu, vivunu, si fanu ‘na panza di canigghia e si ni vanu. Però a Sicilia c’arresta sempri ‘nto cori e non sa ponu scurdari mai, picchi nuautri semu i megghiu e non c’è discussioni ppi nuddu!
Noi siciliani siamo capaci di restare a pane e acqua, ci accontentiamo di mangiare una semplice insalata di arance, cipolla e sale, ma è tutto genuino e alla nostra dignità ci teniamo tantissimo, a facci de’ mmiriusi e di cu’ ni voli mali.