Ai miei tempi i botti li facevamo soffiando dentro un sacchetto di carta, che subito dopo schiacciavamo provocando, appunto, un botto.
Autri cosi non ni puteumu permettere. A ddi tempi auma ghiucari cu chiddu ca c’era, picchi i soddi erunu picca e sivvevunu ppi così ‘mputtanti, autru ca botti.
Ricordo che gli unici botti che non fossero il frutto dell’esplosione di un sacchetto di carta gonfio d’aria erano quelli di capodanno, che venivano venduti, in gran segreto, in alcune botteghe della zona di San Cristoforo o del Borgo.
Per poterli acquistare bisognava andare in gran segreto, per evitare di essere visti e sanzionati da qualche vigile urbano di passaggio.
Tannu c’erunu, oggi sunu ‘na vera rarità. Non s’attrovunu mancu a ciccalli co’ lantinninu, però ci sunu l’ausiliari del traffico!
I botti che si vendevano abusivamente a quei tempi erano prodotti artigianalmente, con un po’ di polvere da sparo ed un po’ di pietrischio, il tutto avvolto in una sorta di cartoccio chiuso con dello spago. La loro potenza cambiava in funzione della grandezza e della quantità di esplosivo.
Poi c’erunu i caps ppe pistoli e ppe fucili e i ‘ssicuta fimmini, che avevano una piccola miccia che bisognava accendere poco prima di lanciarli, avendo cura di evitare che ti esplodessero in mano.
Una volta a terra i ‘ssicuta fimmini cominciavano a girare vorticosamente ed a prendere le direzioni più impensate suscitando la paura, forse parlerei di fastidio, dei presenti e soprattutto delle donne, che per evitarli cominciavano a saltellare, facendo svolazzare le loro gonne. E nuautri masculi di ddi tempi ci taliaumu i cosci. Erumu veri tosti, ma chi ci vuliti fari? Chista è ‘a vita!
Oggi i botti si trovano un po’ ovunque, ci sono addirittura dei negozi specializzati, e vengono esplosi in qualsiasi occasione: nei compleanni, nei matrimoni, per festeggiare la scarcerazione di qualche delinquente, per far sapere che è arrivata una partita di droga in un determinato quartiere, per festeggiare le ricorrenze che riguardano i detenuti di maggiore spicco, ecc.
Chi fa fari ca oggi i carusi i soddi ci l’hanu. Cettu, ci rununu i nanni! Oppuri a cettuni ci runa a malavita ca che botti lancia messaggi. Semu pessi, ci mancava macari chissa, comu su già non erumu pessi!
Devo essere sincero, a cominciare dall’inizio dell’adolescenza i botti non mi sono più piaciuti. Se non sono tanti e se sono ben fatti, cosa che non sempre accade, sopporto a stento i fuochi della festa di Sant’Agata.
Non sopporto affatto, però, lo spreco in fuochi d’artificio di decine di migliaia di euro per ogni festa, comandata e non, che si celebra persino nel più piccolo dei quartieri della città e dei comuni vicini e lontani.
‘Nta ‘stati sparunu tutti i iorna: attaccunu e sei di matina e finisciunu dopu menzannotti. Sunu na vera camurria, ppi non parrari di d’ammaluzzi di cani e iatti ca cu’ ogni bottu sautunu all’aria d’o scantu.
Sono certo che, prima o poi, l’abitudine dei botti verrà fortemente ridimensionata sia per motivi economici, dato che i botti costano un botto, sia per motivi di igiene acustica, sia per ragioni di ordine pubblico.
Mi auguro che questo accada presto e che nessuno dei soliti noti si sollevi indignato per la soppressione, o almeno il ridimensionamento, di questa assurda e pericolosissima abitudine, che ogni anno produce qualche morto e qualche mutilato in giovane età. Botta di sali, c’a vulemu finiri?