I diversi tipi di lessico siciliano, presenti nel variegato territorio dell’Isola, possono creare non poche difficoltà interpretative in chi, e fortunatamente sono sempre di più, si trova a visitare una delle bellissime città che arricchiscono il fascino e l’attrattiva di quella che viene definita da tutti il “Centro del Mediterraneo”, vale a dire la Sicilia.
Le varie inflessioni locali, infatti, risentono parecchio delle numerose dominazioni che si sono susseguite nella “terra di Polifemo”, e per questa ragione alcune parole possono essere male interpretate, creando non pochi problemi.
Ad esempio possono crearne, sempre al solito carabiniere, di Belluno o di Pordenone, chiamato a sbobinare certe intercettazioni telefoniche tra personaggi equivoci sottoposti a indagini.
Ma torniamo alla nostra regione ed alle sue splendide caratteristiche ambientali, culturali, linguistiche e fonetiche, che non sono affatto semplici da comprendere.
D’altra parte, Wolfgang Von Goethe, noto letterato tedesco, famoso per essere stato uno dei “viaggiatori del Gran Tour”, diceva che “L’Italia senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto”, ed aveva perfettamente ragione, anche se non sempre lo si vuole ammettere.
Cominciamo, quindi, con qualche termine che potrebbe indurre in errore, ad esempio mischino, che non vuol dire affatto meschino, cioè persona che denota una desolante povertà morale, oltre che materiale, bensì poverino, nel senso compassionevole del termine, soprattutto se la la seconda “i” allungata mischiiinu!
Nel caso in specie, scambiare il significato italiano con quello siciliano e viceversa potrebbe provocare non pochi problemi, e pure qualche offesa.
Un altro termine che può disorientare chi visita la Sicilia è macàri, che non significa affatto magari, nel senso di vivo desiderio o di entusiastica adesione, bensì anche.
Sul termine curnutu abbiamo disquisito in diverse occasioni, nel corso delle quali abbiamo chiarito come il significato siciliano da dare all’aggettivo cornuto non è detto che sia negativo.
Curnutazzu non costituisce necessariamente la forma dispregiativa di curnutu, dato che può significare furbo, abile, capace, così come curnuteddu non ne rappresenta soltanto il diminuitivo, ma qualcosa di simile a spittognulu, che non vuol dire esperto, bensì furbetto.
Il siciliano, ed in particolare il catanese, se deve riferirci qualcosa n’a cunta, che non significa che, armandosi di calcolatrice, si mette a contare le parole o ci da una versione alfanumerica di un determinato fatto, bensì ce lo racconta.
A manu manca non significa privo di mano, ma a sinistra. I panari non sono i venditori di panini, vale a dire i paninari, bensì i cestini o i culi, mentre finicchia non significa affatto fine, ma carina, come potrebbe essere una ragazza giovane di aspetto gradevole e dai modi cortesi.
E poi c’è finuliuddu, che non significa appena appena fine, ma effeminato o gay.
Povero carabiniere, chissà cosa può venire fuori da una sua intercettazione non adeguatamente compresa.
Cunnucirisi non vuol dire condursi, ma soffermarsi, anzi, può anche significare perdere tempo, così come arrizzittatu non significa arricciato, ma rassegnato.
Per non parlare di annacarisi che non vuol dire ancheggiare, ma ondeggiare, oppure: nella versione catanese, significa sbrigarsi, mentre nella versione palermitana, significa perdere tempo fingendo di fare qualcosa. I napoletani direbbero fare ammuino. I paturnisi dicissuru moviti ddocu, oppuri moviti femmu.
A tal proposito, come fa il carabiniere a rendersi conto di cosa stia facendo un malavitoso che si annaca? Come fa a capire se sta ancheggiando, se sta oscillando, se si sta sbrigando o se sta perdendo tempo? Magari per consentire ad un complice di scappare. Per lui ci vorrebbe più di un corso e non è detto che basti.
Vogliamo parlare do’ babbu di so’ soru? Il nostro ipotetico componente dell’Arma potrebbe pensare che si stia parlando del babbo, ovvero del padre, di sua sorella, mentre ci si sta riferendo ad una particolare parte anatomica femminile, di forma vagamente triangolare con una fessura al centro.
Ppi fauri non mi faciti affruntari cu sti cosi! Che non significa che non ho voglia di affrontare un simile scabroso argomento, ma che non voglio vergognarmi.
Sugnu non vuol dire sogno, magari di una notte di mezza estate, ma sono, voce del verbo essere, mentre accippatu non significa acchiappato, ma ben piantato, oppure ben ammanicato, di solito con esponenti politici muntuvati .
Sempre ad usum del carabiniere, poi, arristari non significa arrestare, ma rimanere e liccu non è la forma dialettale di Lecco, piccola città della Lombardia, ma goloso.
Insomma, caro carabiniere, prima di farti trasferire in Sicilia, con il rischio di prendere fischi per fiaschi, prova a tradurre la seguente frase, non certo infrequente nelle intercettazioni che ti potresti trovare a sbobinare.
Ogni lassata è pessa, picchì ogni fichiteddu di musca è sustanza. Ppi chissu non s’ana dari viscotta a cu’ non avi denti.
A stu puntu, però, ‘u sapiti chi vi ricu? Cu n’appi n’appi de’ cassatelli ‘i Pasqua, picchi quannu si cunta è nenti.
Cu avi culu chinu non cunsiddira ‘u spasulatu e cu mangia fa muddichi, senza ca mancu si n’adduna.
Perciò, non peddiri tempu figghiu beddu e, si non vo’ cuntari quantu u’ dui di coppi quannu a briscula è a mazzi, prima va’ sturia e poi tonni, tantu nuatri ca semu!