In questo periodo, dopo le sentenze Mori (trattativa Stato-mafia) e Lucano (sistema Riace) noto il disorientamento e lo sconcerto di molti colleghi delle più importanti testate giornalistiche e radiotelevisive. La mia sensazione è che coloro i quali hanno sempre sostenuto che “le sentenze si rispettano”, quando il giudizio riguardava personaggi o personalità politicamente avverse, provano profondo disagio a doverlo ripetere anche quando i fatti riguardano persone o personalità a loro vicine. Lo fanno a denti stretti, lo si legge nei loro volti contratti, si appellano alle motivazioni, “che ancora non sono note”, scoprono che il giudizio diventa definitivo solo dopo il terzo grado, ecc. Intendo dire che questi colleghi giornalisti, pronti ad emettere sentenze persino dopo un semplice avviso di garanzia, talvolta palesemente azzardato, sempre pronti a stabilire nei tribunali delle loro testate o dei loro talk show chi sia colpevole e chi innocente, che talvolta hanno costruito fortune editoriali distruggendo la vita degli altri, soprattutto quando questi altri erano personalità mediaticamente esposte, oggi non sanno che pesci pescare, non sanno da che parte stare. Io ho sempre sostenuto che le sentenze “si eseguono”, non ho mai detto che “si rispettano”, non l’ho detto soprattutto quando il putrido fetore del “metodo Palamara” non era ancora stato scoperto, ma si sentiva lontano un miglio. Non l’ho detto quando vedevo marcire in una cella uomini e donne innocenti. Non l’ho detto perché esprimere giudizi è sempre difficile e la legge esiste, o dovrebbe esistere, proprio per restringere l’alea di umana “devianza” che si cela dietro la “lente ideologica”, religiosa, culturale o caratteriale di ciascuno di noi, e che può ingenerare errori atroci, che spesso non vengono neanche scoperti e men che meno risarcirti. La giustizia italiana ha bisogno di una profonda revisione a tutti i livelli, una revisione che vada oltre i quesiti referendari partendo da un dato, per spiegare il quale mi avvalgo di due canzoni, la prima di De André che diceva “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti, la seconda di Raf e Tozzi, che si intitola “gli altri siamo noi”. Confido nel buonsenso e nell’equilibrino del Ministro Cartabia, a cui auguro buon lavoro. Intelligenti pauca.