Il potere politico puoi conquistarlo con una buona campagna elettorale, azzeccando i temi da proporre agli elettori, magari stuzzicandone le attese e le qualità personali, come dimostrano i risultati del 1994, con la trovata del milione di posti di lavoro o del 2017, con il reddito di cittadinanza.
Certo si tratta di due filosofie diametralmente opposte: la prima sintetizza l’immagine di una società attiva, operosa, meritocratica e solidale; la seconda rappresenta la sintesi di una società assistenzialistica, furbetta, che finge la disoccupazione per fare o far fare il lavoro nero.
Tuttavia la questione non è come fare a conquistare il potere, poiché, come abbiamo visto non basta riuscirci, bisogna pure mantenerlo, magari agendo per il bene comune. Per raggiungere l’obiettivo bisogna essere in sintonia con l’opinione pubblica, facendo in modo che le scelte più difficili vengano comprese e quindi condivise.
Insomma, per governare un paese serve ottenere un consenso stabile e partecipato, attraverso il diffondersi di una cultura che ne sorregga le decisioni, ma che sia anche capace di fronteggiare gli avversari, magari tagliandoli fuori dall’agone politico, com’è accaduto all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso.
In tal senso credo che la teoria gramsciana delle “casematte dello Stato”, che rappresenta una sorta di riformulazione post marxiana del pensiero di Machiavelli, resti di grande attualità e di altrettanta efficacia.
Per riuscire nell’obiettivo, dunque, bisogna fare esattamente quello che ha sempre fatto la sinistra italiana, che si è concentrata su tre settori: la giustizia la quale, come abbiamo visto con il “caso Palamara”, controlla a suo piacimento; l’informazione, tutta in mano a giornalisti schierati e ben organizzati, anche quando vengono da culture diverse e persino quando lavorano per testate che dovrebbero stare altrove; e l’istruzione, figlia del sei e del diciotto politico, che ha scambiato il diritto allo studio con il diritto alla promozione, seminando somari nell’intero Paese.