Ogni volta che si va ad elezioni la percentuale dei votanti si abbassa, soprattutto con riferimento alle periferie e agli strati sociali più deboli, quelli presi meno in considerazione e quindi più delusi.
Ogni volta che si verificano simili fenomeni non si celebra il trionfo della partecipazione democratica, come sarebbe giusto che fosse, ma il trionfo dei gestori dei problemi della gente i quali, in un modo o nell’altro, inducono i cittadini a scegliere il “programma” di chi “sbriga faccende”, piuttosto che quello di chi pensa a migliorare la qualità della vita di un determinato territorio.
Ricordo che, oltre trent’anni addietro, nella città di Catania, si rallentava l’informatizzazione dei servizi comunali solo perché c’era chi aveva trasformato la sua segreteria politica in una succursale dell’ufficio anagrafe, che a quel tempo era perennemente affollato e mal organizzato, e distribuiva certificati in cambio di “simpatie”.
Altri distribuivano pasta, zucchero, olio e generi alimentari vari alle famiglie bisognose.
I miei concittadini non più giovanissimi ricorderanno benissimo questo tipo di fenomeni che oggi hanno solo cambiato indirizzo, struttura e denominazione, magari nobilitandola, ma che continuano ad utilizzare il bisogno a fini acquisitivi e di gestione del consenso.
Ovviamente mi auguro di sbagliarmi, ma ho la fondata preoccupazione che le cose continueranno ad andare proprio in questo modo, con l’effetto che, come accade ormai da anni, manderemo a governare le città siciliane e non solo qualcuno dei soliti azzeccagarbugli senza arte né parte, buoni a nulla ma capaci di tutto.
Quello del voto è il momento più alto della democrazia, quello per ottenere il quale molti hanno perso la vita, ma guai a sbagliare ed a svenderlo “per qualche dollaro in più” perché si tratterebbe di un prezzo che pagheremmo tutti.