Alle elezioni, come sempre, c’è chi vince, c’è chi perde, c’è chi ha perso e dice di aver vinto, c’é chi voleva vincere di più e chi si aspettava di perdere di meno, ecc.
Si tratta di tattica comunicazionale assai nota, di comportamenti usati da tutti, uomini e partiti, per far sapere agli altri, avversari ed elettori, che la partita non è ancora chiusa, che c’è tanto da fare e da dire.
I vincitori si soffermano sugli impegni che, dicono, manterranno, aggiungendo una realistica precisazione: “per quanto sarà possibile”, gli sconfitti sostengono che “qualcuno ha barato”, che “qualcuno ha sbagliato” e che comunque “in quel comune o in quell’altro, in quel collegio o in quell’altro “i loro voti sono aumentati o sono calati meno di quanto non sostenessero “i sondaggi”.
La politica è davvero strana, soprattutto quando non dispone più dei pilastri ideologici, né degli uomini, di un tempo, e non si è nemmeno premunita di costruirsene degli altri.
La politica è strana, soprattutto perché ha permesso la crocifissione dei leader veri per affidarsi ai loro manutengoli.
Alla recenti elezioni, al di là di chi abbia realmente vinto e di chi abbia realmente perso, hanno perso i cittadini ed ha perso la democrazia partecipativa, dato che è drasticamente calato il numero dei votati, fino a meno del 50%, mentre è cresciuto quello degli astenuti.
Ergo: la sfiducia degli elettori rispetto all’offerta formulata dalle varie liste (mi viene difficile definirli partiti nel senso novecentesco del termine) non è adeguata alle aspettative dei cittadini.
Nonostante questo elemento costituisca una costante degli ultimi 20/30 anni, però, nessuno si pone il problema di chiedersi come mai accada e come fare per evitare una simile deriva.
Non mi stupisco. Anzi credo che le varie liste, ovvero le varie aggregazioni di candidati, potrebbero non avere affatto voglia di recuperare gli astensionisti, né di proporre candidature adeguate.
Fare i conti con una platea che si riduce sempre di più e con docili yes men è più facile, costa meno ed aumenta le opportunità non per i “pericolosi migliori”, non per coloro i quali sono portatori di proposte più idonee e concrete, ma dei più ricchi, dei più potenti o dei più “docili”, quelli che il consenso non lo conquistano, ma lo acquistano o lo ereditano.
Non so se questo andazzo faccia o meno comodo anche agli elettori, soprattutto a quelli particolarmente inclini a fare mercato del loro voto, spero proprio di no, so però che, in questo modo, ci si allontana sempre di più dalla democrazia e dall’efficienza amministrativa e politica.
Un’ultima amara considerazione: secondo gli analisti politici la gran parte degli astenuti appartengono a fasce deboli di popolazione. Si tratta infatti di disoccupati o di appartenenti a categorie disagiate.
Credo che questo elemento meriti un grande approfondimento, che tuttavia ritengo fondatamente che non ci sarà.