Una certa sinistra, invero non molto lungimirante, ha cominciato la sua nuova battaglia per la legislatura in corso e ancora una volta si tratta di una battaglia semantica e demagogica, che gioca sui termini non su ciò che essi rappresentano nella vita di tutti i giorni. Questa volta il nemico è il concetto di merito, che secondo gli esponenti, di solito snob, di una tale certa sinistra sarebbe sinonimo di discriminazione mentre è soltanto un percorso tanto naturale quanto ovvio. Ebbene, a costoro desidero ricordare che il concetto di merito è previsto dalla Costituzione Italiana, quella voluta, dopo la seconda guerra mondiale, dalla coalizione democratica la quale, con l’aiuto dell’esercito alleato, cacciò via i nazifascisti dal nostro Paese, e che, all’art. 34, così recita in maniera assolutamente inequivocabile: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. La Costituzione, è vero, qua e là, presenta qualche incrostazione e qualche carenza, andrebbe aggiornata attraverso un percorso costituente simile a quello originario, d’altra parte ha più di settant’anni, tuttavia, su questo argomento, è fresca come un’adolescente al primo “volo”. Ciò che, invece, la Costituzione non dice è che ciascuno abbia il diritto ad essere promosso anche se è un perfetto somaro o non abbia affatto voglia di studiare. In fondo Pinocchio e Lucignolo sono la metafora fiabesca di una situazione che qualsiasi persona intellettualmente onesta conosce benissimo. Al contrario, infatti, la Costituzione, sempre quella nata dalla Resistenza, sostiene che “i capaci e meritevoli hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”, non certo che tutti, a fronte di un falso egualitarismo, abbiano il diritto al “buon esito della carriera scolastica”, inventato da certa sinistra con l’introduzione del sei politico, del diciotto politico, degli esami di gruppo e di altri simili lasciapassare per l’ignoranza certificata, perché è proprio l’appiattimento verso il basso che rende diseguale la scuola. Lo Stato deve assicurare il sostegno a chi ne abbia bisogno, deve assicurare parità di partenza e mezzi adeguati conseguenti, deve fare in modo che chi sta indietro possa recuperare con l’aiuto delle istituzioni, deve fare in modo che il figlio di un impiegato dell’Enel come il sottoscritto possa diventare Senatore della Repubblica esattamente come lo divenne Gianni Agnelli. Mentre non può certo assicurare che tutti diventino scienziati o capitani d’azienda, senza averne le doti e la preparazione, anche se, però, è sacrosanto che tutti debbano essere messi nelle condizioni di poterlo diventare. L’appiattimento, il sei politico e gli esami di gruppo, invece, sono la vera discriminazione e sapete perché? È semplice: perché i meno dotati che potranno permetterselo, vale a dire che avranno i soldi per farlo, andranno a lezioni private e terranno il passo, mentre gli altri, quelli che non potranno, perché i genitori sono disoccupati, e rimarranno indietro, saranno costretti ad affidare alla società ed al mercato la possibilità di discriminarli. Il sei politico rappresenta insieme la piena deresponsabilizzazione di uno Stato che non compie il proprio dovere, migliorando la situazione della scuola e delle famiglie, ed anche la “summa” di una serie di elementi negativi: la negligenza, l’insensatezza, il disimpegno, ecc. Il sei politico è lo strumento attraverso il quale si consolida il rapporto tra quegli insegnanti che non hanno voglia di insegnare, quegli studenti che non hanno voglia di imparare e quei genitori che non hanno voglia di rinunziare alla partitella a calcetto o a burraco con gli amici o con le amiche, e soprattutto che non hanno voglia di rinunziare alle vacanze perché i figli devono recuperare qualche credito scolastico. Ebbene sì, che merito sia, ma che lo sia nel pieno rispetto dei principi costituzionali e di quanti sacrificarono la loro vita per poterli affermare e difendere. In tal senso è bene richiamare anche l’art. 33 della stessa Carta Costituzionale di cui sopra, così ci portiamo avanti nell’interruzione di inutili polemiche. “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. Eprescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Credo, inoltre che sia bene ricordare anche l’art. 3 della Costituzione Italiana, all’intero della quale vanno comunque calati i concetti sin qui enunciati. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Ciò che mi appare chiaro leggendo l’intero testo costituzionale è che il merito a cui si fa riferimento non significhi affatto discriminare i più deboli, ma neanche impedire a chi è intellettualmente più dotato, perché la natura gli è stata più amica, di fare la sua strada, di cui è probabile che godremo tutti. Insomma, più che di meritocrazia, parlerei di meritodemocrazia, un concetto che sarebbe bene sviluppare al meglio, proprio per evitare discriminazioni e strumentalizzazioni.
A proposito, c’è un altro concetto che sarebbe il caso di liberare da qualsiasi spregevole tentativo di strumentalizzazione. Si tratta del concetto di eguaglianza, che non vuol dire affatto “uno uguale a uno”, perché, fortunatamente, ciascuno di noi ha una proprio personalità, un proprio portato, una propria cultura, una propria educazione che, unita sinergicamente a quella degli altri forma una società libera, democratica e variegata, non certo appiattita e stereotipata. Eguaglianza vuol dire medesime possibilità, medesime opportunità, adeguati strumenti per conseguire medesimi obiettivi, ecc. D’altra parte l’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, quella sottoscritta nel 1948, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè sempre quella che sconfisse il nazifascismo, è molto chiaro, infatti sostiene che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Ecco, l’uguaglianza da praticare e realizzare è “in dignità e diritti”, ben lontana dal concetto di appiattimento e di sei politico!