Dai dati forniti dal sistema delle Camere di Commercio, nel nostro paese risultano inevase offerte di lavoro per oltre mezzo milione di unità, in settori particolarmente interessanti: informatica, tecnologia, servizi al turismo, ecc. 

Non è certo un numero elevato, dato che i disoccupati sono oltre 10 volte tanti, tuttavia segnala uno scarso collegamento tra istruzione e mercato del lavoro. 

Si tratta di una sorta di dissociazione operativa che rende urgente una rivisitazione del mondo della formazione professionale, legandolo maggiormente alle reali esigenze dell’economia e della produzione, oltre che a quello dell’evasione scolastica.

Se, infatti, il lavoro è un diritto, non può che essere anche un dovere, così come un diritto che sia anche dovere lo è lo studio, la scuola, la formazione, meglio se permanente. 

Tuttavia, proprio in questo ambito, la disconnessione tra lo Stato ed il mondo della produzione appare davvero grave, cosa che determina costi e sprechi enormi.

Anche i cittadini, però, devono fare la loro parte e devono farla fino in fondo, sforzandosi di far sì che diritti e doveri vengano i realmente pretesi ed esercitati. 

In tal senso, credo che se il Governo mettesse la tassa sul mugugno o sul lamento il bilancio dello stato verrebbe immediatamente risanato e forse il Paese non avrebbe più alcun debito da onorare. 

Al contrario, se si ricompensassero i comportamenti partecipativi dei cittadini sarebbe sufficiente un monte premi bassissimo. 

Il pensiero, ovvero la piagnucolosa recriminazione, senza la conseguente azione, serve davvero a poco, soprattutto non serve a cambiare le cose quando si attende che siano gli altri a farle cambiare. Niente cambia se nessuno si batte per fare in modo che cambi.