In questi giorni sono in molti a parlare di ripartenza. È giusto, bisogna essere ottimisti e propositivi, l’economia si nutre anche di entusiasmo e di coraggio.
Tuttavia per ripartire bisogna convincere gli imprenditori che investire in Italia è più conveniente che investire altrove e bisogna convincere i lavoratori a scommettere su quello che fanno, nel tentativo di farlo sempre meglio ed in sicurezza.
Purtroppo né la prima, né la seconda condizione sembra che si stiano realizzando. I motivi sono tanti, ma resta il fatto che le tanto attese riforme sono ancora lontane dalle aule parlamentari, mentre sono molto presenti nei luoghi in cui si parla ma non si decide.
In tal senso, spetta al governo essere funzionali alle attese che di spera in una ripartenza che si traduca in miglioramento della qualità della vita, in servizi efficienti, in riduzione della disoccupazione, in realizzazione di infrastrutture.
Per riuscire a raggiungere l’obiettivo, come dicevo prima, bisogna varare riforme importanti: giustizia, burocrazia, fisco, amministrazione, appalti, welfare, oltre che in ogni altro settore che presenti evidenti condizioni di arretratezza o di inefficienza.
Una ripartenza convinta deve guardare con attenzione all’intero assetto del Paese, dall’istruzione alla sanità, dalle infrastrutture, alle periferie, dalla qualità dei servizi, ai tassi di occupazione giovanile e femminile.
Probabilmente, almeno i rispetto al passato più o meno recente, le cose pare che stiano andando meglio anche se, purtroppo, il Sud e la Sicilia continuano ad essere il fanalino di coda di un Paese con tanti se e tanti ma.