di Vito Pirrone
Il prossimo 12 giugno, si voterà per i cinque quesiti referendari sulla giustizia, referendum che chiedono l’abrogazione totale o parziale di leggi esistenti.
Affinché il referendum sia valido, dovrà essere raggiunto il quorum , deve cioè partecipare alla votazione, la maggioranza degli aventi diritto al voto ed affinché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata, la maggioranza dei voti validamente espressi deve esprimere il “Sì”.
Elezione dei membri “togati” del Csm
Il quesito riguarda le norme che regolano l’elezione dei cosiddetti membri togati del Consiglio Superiore della Magistratura, modificando, in particolare, le modalità di presentazione delle candidature.
Se oggi un magistrato vuol proporre la sua candidatura quale membro del CSM, deve raccogliere almeno 25 firme di altri magistrati a suo sostegno.
Se vincesse il “Sì”, decadrebbe l’obbligo della raccolta firme e si tornerebbe alla legge originale che, dal 1958, regola il funzionamento del CSM: il singolo magistrato potrebbe, cioè, presentare la propria candidatura in autonomia e liberamente, senza il supporto di altri magistrati e senza, soprattutto, l’appoggio delle “correnti” interne al CSM stesso.
Valutazione della professionalità dei magistrati
Il quesito chiede che la componente laica del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari non sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni che hanno a che fare con la professionalità dei magistrati.
I magistrati vengono valutati dal CSM con scadenza quadriennale, sulla base di pareri motivati, ma non vincolanti, elaborati dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai Consigli giudiziari. Entrambi questi organi hanno composizione mista: oltre ai membri che ne fanno parte per diritto, sono formati da alcuni magistrati e da alcuni membri laici, avvocati e, in alcuni casi, professori universitari in materie giuridiche.
Avvocati e docenti partecipano, come gli altri membri, all’elaborazione di pareri su diverse questioni tecniche e organizzative, ma sono esclusi dai giudizi sull’operato dei magistrati, in base ai quali, il CSM dovrà procedere per fare le valutazioni di professionalità. Solo i magistrati, dunque, hanno oggi il compito di giudicare gli altri magistrati.
Se vincesse il “Sì”, i membri laici avrebbero diritto di voto in tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari, con l’obiettivo, secondo i proponenti, di rendere più oggettivi e meno autoreferenziali i giudizi sull’operato dei magistrati.
Separazione delle funzioni giudicanti e requirenti dei magistrati
Il quesito riguarda l’abrogazione delle disposizioni che consentono ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.
La funzione requirente è quella del pubblico ministero (nel processo rappresenta l’accusa), la funzione giudicante è quella del giudice che è chiamato a giudicare. Se vincesse il “Sì”, si separerebbero nettamente le due funzioni. Il magistrato, vincendo il concorso, dovrebbe scegliere di svolgere la funzione giudicante o quella requirente, senza la possibilità di passare dall’una all’altra. Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza che sarebbe garantita solo da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli che giudicano.
Limitazione delle misure cautelari
Il quesito referendario interviene per limitare i casi in cui è possibile disporre l’applicazione delle misure cautelari; si propone di limitare l’abuso delle stesse, prevedendo la possibilità di procedere alla privazione della libertà per il rischio di ‘reiterazione del medesimo reato’ solo per i delitti di criminalità organizzata, di eversione o per i reati commessi con uso di armi o altri mezzi di violenza personale.
La custodia cautelare è la misura che impone la limitazione della libertà a cui un imputato può essere sottoposto prima della sentenza di condanna. L’articolo 274 del codice di procedura penale elenca i casi che giustificano l’applicazione delle misure cautelari: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, quando sussiste concreto e attuale pericolo che la persona commetta gravi delitti, o sussista il pericolo di reiterazione dello stesso delitto.
Se vincesse il “Sì”, verrebbe eliminata l’ultima parte dell’articolo 274 del codice di procedura penale, e cioè, la possibilità, per i reati meno gravi, di motivare una misura cautelare con il pericolo di reiterazione che, secondo i promotori, è la motivazione che viene oggi usata con maggiore frequenza per imporre prima di una sentenza definitiva una limitazione della libertà personale. I promotori sostengono che la custodia cautelare, da strumento di emergenza, si sia trasformata in una pratica abusata e che l’attuale norma, nella pratica, giustifichi, quasi in automatico, forme di restrizione della libertà, anche in casi in cui l’imputato non è effettivamente pericoloso.
Abolizione del decreto Severino
Il decreto legislativo che il referendum vuole abrogare è meglio conosciuto come “decreto Severino” e stabilisce il divieto di ricoprire incarichi di governo, l’incandidabilità o l’ineleggibilità, alle elezioni politiche o amministrative, e la conseguente decadenza da tali cariche, per coloro che vengono condannati per determinati reati. Prevede, altresì, in caso di condanna non definitiva, la sospensione dalla carica, in via automatica, per un periodo massimo di 18 mesi.
I promotori del referendum sostengono che i meccanismi del “decreto Severino” e, in particolare, l’automaticità della sospensione in caso di condanna non definitiva, siano non solo inefficaci, ma anche dannosi, nello specifico, poiché la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali, condannati, ha creato, finora, «vuoti di potere» e ha portato alla sospensione temporanea dai pubblici uffici di soggetti poi assolti.
Con la vittoria del “Sì”, tornerebbe in vigore la legge precedente, che prevede l’interdizione dai pubblici uffici, come pena accessoria decisa dal giudice.
Il referendum sulla giustizia rappresenta certamente un’occasione unica per aprire un confronto e dare un impulso non più procrastinabile, rappresentando l’esercizio della scelta informata e ponderata dei cittadini su importanti temi di amministrazione della giustizia ed un ottimo esercizio di democrazia diretta. Tenuto conto dell’incapacità del Parlamento ad intervenire, nonostante ve ne sia evidente necessità.
Oggi abbiamo una giustizia che non viene percepita come tale dai cittadini, sia sull’efficienza, che sull’autonomia ed indipendenza.
La vera domanda che si pone agli elettori è se stia bene l’attuale sistema o avvertano l’esigenza di un cambiamento.