Prendi uno di quei giornalisti che sbagliano i congiuntivi e che vengono pagati a cottimo, passagli qualche riga di un verbale, mal scritto, da un cosiddetto tutore dell’ordine deluso del lavoro che fa, sbatti l’articolo in prima pagina, distruggi la reputazione di una persona, e poi cominci a fare carriera grazie ad una delle correnti del CSM.
A quel punto devi ricambiare il favore che ti hanno fatto promuovendoti, capisci da che parte tira il vento e cominci a costruire trame politiche contro qualcuno che canta fuori dal tuo coro.
Questa è quella che chiamano giustizia, o almeno è quello che è stato il sistema giudiziario negli ultimi trent’anni circa.
Oggi le cose sembra che stiano cambiando, che si stia pensando ad una riforma più articolata e completa rispetto alle precedenti.
Mi auguro che stavolta la politica, che di solito, avendo la coda di paglia, non parla, parli, anzi, parli parecchio, ma non straparli.
Infondo riformare il sistema giudiziario italiano non è affatto difficile, basta attuare fino in fondo quello che i padri costituenti, subito dopo la seconda guerra mondiale, scrissero in maniera inappuntabile, prevedendo la separazione dei poteri, a cui è necessario aggiungere anche la separazione delle carriere, per evitare che le “cortesie tra colleghi” possano mandare in galera un innocente e in libertà un colpevole, ma soprattutto per evitare che, per guadagnarsi un posto in prima pagina, si comprometta la vita di una persona perbene.
L’Europa vuole che la giustizia italiana serva a dirimere le controversie, delle carriere dei singoli magistrati non si occupa affatto.