L’Afide e la formica è il film di esordio del regista lametino Mario Vitale, uscito nelle sale il 4 novembre e presentato, dal regista stesso, al Cinema King di Catania lo scorso lunedì. Il film narra una storia di integrazione e di catarsi a cui fa da sfondo una Calabria che appare cinica, aspra e che non offre – apparentemente – una possibilità di riscatto e redenzione. I due protagonisti sono Fatima, una giovane ragazza musulmana, interpretata da Cristina Parku, che sta ancora cercando se stessa; Beppe Fiorello veste invece i panni di Michele, un professore di educazione fisica che porta sulle spalle il peso di troppi fantasmi del passato: come la morte prematura del figlio a causa della malavita, o la separazione da sua moglie. Le vite dei due si uniscono grazie allo sport: Fatima infatti, spinta proprio dal desiderio di scappare e fuggire dalla propria realtà, decide di dedicarsi alla corsa, e lo fa chiedendo aiuto all’insegnante Michele che solo inizialmente mostra alcune perplessità. Il professore, successivamente, ritrova una forza vitale nuova proprio grazie alla dedizione per la preparazione atletica della ragazza che, al contempo, considera la corsa come un simbolo di libertà. Da questa capacità di sapersi risollevare a vicenda, deriva la battuta principale del film, recitata da Fatima, che spiega inoltre il significato intrinseco della pellicola: “siamo come l’afide e la formica, due esseri che traggono beneficio l’uno dall’altro. E questa si chiama simbiosi”. Riguardo a questa battuta, il regista ha inoltre aggiunto: “nel caso di specie, l’afide produce una melata di cui le formiche vanno ghiotte e di cui, quindi, si nutrono. In cambio del cibo che ricevono, a loro volta le formiche proteggono gli afidi dai predatori, facendogli fare ingresso nel formicaio. Ecco, la stessa cosa accade nel film: i personaggi, stando insieme, traggono beneficio; condividono le loro esperienze per farcela, per superare i problemi che li caratterizzano”.
La storia narrata è quindi più di ciò che sembra: è il racconto di due anime sole che si incontrano e che fanno forza l’uno sull’altro, per rinascere e per ri-trovarsi in un mondo che aveva fatto perdere loro la propria essenza. La corsa è solo il mezzo con il quale avviene il processo di catarsi e liberazione: è proprio dallo sport che infatti nasce il concetto di rispetto, lealtà ed uguaglianza per l’altro; inoltre, è solo con lo sport che riusciamo a comprendere che il reale avversario da superare o battere non è fuori di noi ma è in noi. E così l’allieva e l’insegnante riescono a distruggere le proprie paure, i propri mostri nascosti, e chiudono finalmente i conti con un passato che è stato forse troppo duro per entrambi.
«È una storia contemporanea – ha specificato la sceneggiatrice Josella Porto – di integrazione. La fotografia di una Calabria inedita che diventa il pretesto del racconto di formazione di un’adolescente alla ricerca della sua identità che s’incontra e si scontra con un adulto alla riscoperta delle emozioni».
Le tematiche sociali, oggi più calde che mai, fanno solo da punto di partenza per la narrazione, tuttavia il film mostra di essere il racconto di due vite uguali nelle loro diversità: perché la sofferenza, l’inquietudine, i turbamenti dell’animo non conoscono distinzioni alcune.
Ilenia Giambirtone