Gesualdo Bufalino nei suoi scritti parlava di “isolitudine”, definita dal vocabolario Treccani come quella “condizione esistenziale di appartenenza e di isolamento propria di chi è nato in un’isola”. Eppure, questo termine che si riferisce principalmente ad uno stato d’animo e ad un modo di essere, si sta affermando sempre di più anche sul piano economico. Secondo uno studio recente sulla “Stima dei Costi dell’insularità della Sicilia”, infatti, alla Sicilia la sua condizione di “isola” costa dai 6,04 ai 6,54 miliardi di euro l’anno che corrisponderebbero ad un valore che si aggira tra il 6,8 e il 7,4% del Pil regionale. Queste cifre e percentuali fanno ancora più spaventare se si considera che possono essere tradotte in 1.300 euro in più per ogni cittadino, compresi i neonati.
Queste cifre sono state così commentate dall’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao: “Questo studio ci consente di introdurne i risultati nel negoziato con il Governo centrale perché tale costo occulto, che i siciliani pagano per la condizione di insularità, deve essere considerato nelle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni, così come richiede la Corte Costituzionale. […] Lo svantaggio patito da famiglie e imprese dovrà trovare immediatamente considerazione e compensazione da parte dello Stato, anche consentendo l’utilizzo della fiscalità di sviluppo per attrarre investimenti e favorire le nostre imprese”.
I dati – raccolti grazie a Prometeia e alle università siciliane con l’approvazione della commissione paritetica Stato-Regione – non possono non essere letti come un vero e proprio deficit con cui ogni anno la Sicilia deve fare i conti. Lo svantaggio evidente degli isolani, dunque, è quotidianamente tangibile: basti pensare ai limiti di spazio e tempo (che poi si traducono in costi) rispetto a chi abita nella penisola. Dai trasporti dei beni da importare ed esportare, alla mobilità dei singoli cittadini che spendono cifre esose per spostarsi, nonostante si prenoti un biglietto con largo anticipo. Tali considerazioni arrivano fortunatamente in contemporanea all’approdo in aula al Senato del progetto di modifica costituzionale che mirerebbe all’introduzione del riconoscimento, tramite una norma, di tali svantaggi che derivano dal fattore “insularità” il quale, bisogna assolutamente ricordare, riguardano circa il 10% dei cittadini italiani (6 milioni di italiani sono infatti “isolani”). La proposta è partita dalla Sardegna ed accolta sin da dubito dalle varie isole italiane; la sua importanza, inoltre, è stata puntualmente e sapientemente avallata dai dati sopracitati.
Essendo stata riconosciuta la condizione di insularità da parte del Governo centrale, Ha ancora aggiunto l’assessore Armao: “è chiaramente impossibile pensare di azzerare i costi, chiedendo 6 miliardi, occorre uno sforzo. Un articolo della legge di Bilancio che è in arrivo stanzia per noi 100 milioni. Ci potrebbe essere una fiscalità di sviluppo, ad esempio prevedendo un abbattimento delle imposte per le nuove iniziative territoriali, o discipline ad hoc per attrarre pensionati, che ora invece sono limitate solo a cittadini stranieri. La cosa più importante è iniziare un percorso”; e tale percorso, inoltre, risulta necessario per evitare di accrescere la condizione – insita negli isolani – di “isolitudine”, così da sentire finalmente una mano tesa, in segno di vicinanza, da parte della penisola.
Un passo avanti é stato compiuto proprio oggi grazie all’unanimità raggiunta dall’aula del Senato, con 223 voti favorevoli, al nuovo ddl costituzionale che riguarda l’articolo 119 della nostra costituzione. Questa prima deliberazione, che non é altro che un primo vero traguardo, prevede comunque altri quattro passaggi, due alla Camera e due al Senato, che sicuramente arriveranno nei prossimi giorni.
Ilenia Giambirtone