Circa un terzo degli italiani non ha vissuto tangentopoli e la crisi dei partiti, né la vittoria di Berlusconi.
Circa quattro quinti degli italiani non ha vissuto né la guerra, né il nazifascismo, né il comunismo stalinista.
Solo il cinquanta per cento conosce il boom economico degli anni ’60, pochi ricordano la marcia dei 40.000 di Torino, nel 1980, ecc.
Costruire una comunicazione politica fondata su questi riferimenti, ormai abbondantemente storicizzati, ovvero riferirsi a correnti ideologiche presupponendone la conoscenza da parte di interlocutori di rara ignoranza, significa rinunziare a farsi comprendere da chi non sa di cosa si stia parlando.
Eppure, nell’attualità dei fatti di ogni giorno, si preferisce discutere ancora di fascisti, di comunisti, di pentapartito ecc. trascurando temi come la stabilità occupazionale, il disagio dei piccoli e medi imprenditori, la scarsa efficienza della sanità, della giustizia o della burocrazia, il conflitto generazionale, il rapporto con le dipendenze, le problematiche della disabilità, il debordante potere della finanza speculativa, la sofferenza della società reale, dei pensionati, delle casalinghe o dei professionisti.
Pochi affrontano seriamente le questioni relative alla crisi statica del paese, al suo possibile superamento ed alla mancata manutenzione delle infrastrutture, alla loro distribuzione sperequata, al depauperamento del patrimonio immobiliare, pubblico e privato, alla illecita diffusione di prodotti agricoli concorrenti con i nostri, e ad altri problemi che, oggi, purtroppo, continuano a corrodere le nostre carni nel silenzio più assordante di chi ci governa.
In questo contesto il premierato reale e quello virtuale, gli atteggiamenti elettoralistici o speculativi, che affollano le cronache dei nostri giornali, sono le ciliegine di una torta che nessuno dice con quali ingredienti debba essere fatta, né se debba essere dolce o salata, posto che se fosse entrambe le cose farebbe vomitare!