Vorrei tanto che, rileggendo questa nota, tra alcuni anni, qualcuno parlasse di me come di un visionario, come di un pessimista. Insomma, sarei veramente felice se nessuna delle considerazioni che mi accingo a svolgere, nelle dieci mosse di cui parlerò, si rivelasse fondata.
Tuttavia, non posso nascondere, né a me stesso, né ai pazienti lettori, quali siano le mie reali preoccupazioni rispetto al formarsi di tendenze che considero precisi segnali verso la nascita di regimi pericolosamente autoritari, del tutto differenti rispetto a quelli ai quali siamo abituati.
I fatti che reputo opportuno vengano presi in considerazione sono i seguenti e manifestano una evidentissima concatenazione, quasi costituissero le mosse di una partita di non so bene quale gioco al massacro, abilmente costruito per fare a meno dei cittadini e della loro esigenza di libertà, di democrazia e di efficienza.
Prima mossa: delegittimare la classe politica, accusandola, giustamente o ingiustamente, di una serie di errori di natura apparentemente etica e di reati di là da venire, un po’ come se considerassimo solo come volgari assassini i crociati, i mille di Garibaldi, o i militari impegnati in missioni di pace, senza contestualizzare i fatti.
Seconda mossa: rompere gli equilibri costituzionali in materia di prerogative dei componenti i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), tutelando solo quest’ultimo, che pertanto risulta tanto intoccabile, quanto privo di reali responsabilità.
Terza mossa: alterare i rapporti tra i livelli territoriali, modificando disordinatamente il titolo V della Costituzione, ma anche proseguendo nella marginalizzazione del Sud e della Sicilia, facendola apparire degna solo di elemosine, in direzione di una globalizzazione priva di regole e di tutele.
Quarta mossa: travolgere i partiti, sostituendoli con strumenti di rappresentanza del tutto virtuali o lobbistici, in cui i vertici siano gli unici legittimati a pensare e parlare.
Quinta mossa: travolgere la democrazia interna di ciò che resta dei partiti, permettendo che essi non siano più associazioni di persone, vere e pensanti, unite da idee e ideali, ma semplici casse di risonanza del pensiero e degli interessi altrui.
Sesta mossa: consentire al Presidente della Repubblica di trasformarsi in arbitro-giocatore e non in garante dei delicati equilibri costituzionali.
Settima mossa: evitare una riforma del finanziamento della politica, lasciando ampi margini all’intervento di merito della magistratura e a forme anomale di sostentamento, sempre meno trasparenti.
Ottava mossa: confondere la definizione “costo della politica”, con la definizione “costo della democrazia”, trasformando gli operatori della politica in servi dei poteri o dei settori che li esprimono, piuttosto che assicurare loro l’indipendenza necessaria per sapere e potere agire secondo coscienza, oppure limitando l’esercizio delle funzioni elettive solo ai ricchi, che possono permettersi di abbandonare il proprio lavoro, posto che l’abbiano.
Nona mossa: ridurre drasticamente il numero degli eletti (in Parlamento, in Consiglio comunale, ecc.) così da avere a che fare con sempre meno “fastidiosi” rappresentanti del popolo, portatori di interessi della società e dell’economia reale.
Decima mossa: farsi eleggere sull’onda dell’emozione e non della ragione, tassare, riducendo alla povertà i cittadini, oltre che disincentivando gli imprenditori, per governare, gli uni contro gli altri, senza vincoli, senza controlli, senza competenza e senza responsabilità.
Ai dieci punti bisognerebbe aggiungerne altri: dall’abbassamento generalizzato dell’istruzione, alla costruzione di un’informazione, sempre meno libera e vera, ma penso che i primi dieci punti, per il momento, possano bastare a capire quale sia il contesto in cui un “visionario” possa pensare di trovarsi.
Questo schema terribile non può non indurci a reagire, non può non spingerci a rileggere quanto ci sta accadendo e a rimeditare sul comportamento migliore, magari partendo dagli errori del passato e del presente, ma evitando di rimanervi impigliati per sfiducia, indolenza, rabbia o nostalgia: bisogna andare oltre!
È oltre che si trova l’incontro, è oltre che si può meglio comprendere il ruolo che spetta a ciascuno, è oltre che bisogna costruire un modello fondato sui diritti ma soprattutto sui doveri, come direbbe il povero Pierangelo Bertoli: “con un piede nel passato e lo sguardo diritto e aperto nel futuro”.