“Se gira la cazzuola gira l’economia del Paese”. Chissà quante volte avete sentito pronunziare questa frase! Oggi, però, essa assume un significato profondamente diverso da quello che le si attribuiva in passato.
L’industria delle costruzioni, nel periodo compreso tra la fine del secondo conflitto mondiale e la fine degli anni ‘90, quando si avviarono gli ultimi importanti piani riguardanti l’edilizia cooperativistica e quella economico/popolare, significava soprattutto la realizzazione di edifici pubblici, di abitazioni, pubbliche e private, di opere infrastrutturali.
Oggi la situazione è profondamente diversa, anche perché oltre l’85% degli italiani, per fortuna, ha una casa di proprietà ed il problema abitativo, anche se non può ancora dirsi del tutto risolto, è certamente diverso da quello degli anni dell’immediato dopoguerra o da quello del fortunato periodo del boom economico, della fuga dalle campagne e dell’urbanizzazione veloce, anche se molto disordinata.
Oggi, l’imprescindibile rilancio del settore edile, che al Sud ed in Sicilia in particolare è drammaticamente fermo da quasi due decenni, non può più, né deve, passare dalla corrotta speculazione sui piani regolatori; non può più, né deve, occupare ulteriore suolo, dunque, deve pensare ad altro, facendo in modo che si creino le condizioni normative e fiscali perché ciò avvenga.
Intendo riferirmi, per quanto riguarda il piano degli investimenti pubblici, ad importanti opere di miglioramento e di perequazione infrastrutturale in campo stradale, autostradale, ferroviario, aeroportuale, portuale, fognario, idrogeologico, ecologico, energetico, antisismico, ecc. fondato su precise priorità che partano dal Sud.
Per quanto riguarda il settore privato, penso invece al consolidamento strutturale, alla messa in sicurezza, all’adeguamento degli impianti idrici ed elettrici, al risparmio ed alla produzione energetica, al verde abitativo, insomma: al miglioramento della qualità strutturale ed alla protezione degli immobili.
Credo che parlare di rilancio dell’edilizia oggi non significhi necessariamente nuove costruzioni, delle quali, salvo qualche eccezione, non c’è più molto bisogno, ma potenziamento ed ampliamento delle infrastrutture, in chiave unitaria per il Paese, oltre che protezione manutentiva, consolidativa ed architettonica del patrimonio immobiliare esistente.
Rilanciare l’edilizia, soprattutto in Sicilia ed al Sud in genere, significa poter operare, quasi del tutto, con materiali, mezzi, professionisti e manodopera locali; significa sostenere l’industria dei laterizi, delle ceramiche, dei rivestimenti, dell’impiantistica, dell’energia, del verde, insomma, significa tagliare drasticamente la disoccupazione.
Un intervento di tale portata ha bisogno, però, di un drastico mutamento di rotta, che sposti le politiche pubbliche dal versante dell’economia fondata sulle speculazioni finanziarie, bancarie ed assicurative a quello incentrato sugli investimenti immobiliari, operando sul piano dell’attenuazione del carico fiscale, delle agevolazioni creditizie e delle semplificazioni burocratiche.
In tal senso, un vero programma di rilancio del Sud e della Sicilia in particolare non può prescindere dalla esatta considerazione di quello che è il tessuto economico del territorio in questione, da quelle che sono l’offerta lavorativa, quella produttiva e soprattutto dal livello infrastrutturale esistente, che non può tardare ad essere armonizzato con le condizioni presenti nel resto del Paese.
In questo contesto, la politica non può pensare ad una ricetta unica, uguale per tutti i territori, come purtroppo sembra che stia accadendo, perché la patologia non è affatto unica. Non si può fornire la medesima quantità di vitamine sia a chi mangia regolarmente tutti i giorni, sia a chi mangia una volta ogni tanto.
Insomma, ciò che serve al Paese non è l’ennesima programmazione, falsamente armonica, di programmi spalmati uniformemente, quanto ipocritamente, lungo tutto lo stivale, bensì un’accurata differenziazione del tipo di intervento da porre in essere e delle relative modalità esecutive.
Non mi pare che questi concetti siano ancora sufficientemente chiari tra i membri del governo in carica, come non lo erano per quelli dei governi precedenti, sia pure per motivi assai diversi.
Ciò che mi è chiaro, invece, è che, ancora una volta, adesso come prima, il Sud e la Sicilia vengano utilizzati solo per raccogliere facili consensi, fondati sulla miseria e sul bisogno, non certo per realizzare opere pubbliche e lavoro produttivo.
Ovviamente, mi auguro che tutto questo non accada, mi auguro che i meridionali ed i siciliani, che hanno sempre avuto una notevole dose di intuito, capiscano in tempo ciò che rischia di accadere sulle loro teste e reagiscano in fretta: solo loro possono farlo!