Varco la soglia del solito bar e mi accorgo subito che qualcosa è cambiata. Dietro il bancone non c’era la solita coppia, marito e moglie, che da alcuni anni ero abituato a vedere ed apprezzare, ma due giovani ragazze in uniforme da barista, mentre alla cassa c’erano due donne di oltre sessant’anni.
La situazione mi incuriosisce, dunque, con la faccia tosta che mi ritrovo, chiedo notizie della evidente nuova gestione, mi risponde una delle due signore, sfoggiando un sorriso compiaciuto.
“Noi siamo le nonne, paterna e materna, di quelle due belle ragazze che le stanno preparando il caffè: spero che sia di suo gradimento.” Mi dice. “Siamo appena andate in pensione ed abbiamo pensato di investire i nostri risparmi per aiutarle a costruirsi un futuro.”
Non riesco a trattenermi e, sempre più incuriosito, le chiedo come mai avessero deciso di impegnarsi in un bar ed in quello in particolare e che fine avessero fatto i loro predecessori.
“Abbiamo pensato a questo bar,” mi risponde l’altra signora, “perché abbiamo saputo che era in vendita, che aveva una discreta clientela e che si sarebbe potuto incrementarla con alcuni accorgimenti. I precedenti proprietari hanno rilevato un altro locale e stanno continuando lì la loro attività.”
“Io e mia sorella ci siamo diplomate all’Istituto alberghiero.” Mi dice una delle ragazze con un pizzico di orgoglio. “Molto presto produrremo direttamente cornetti, brioche, pizze, arancini e panini. Forse faremo anche primi, secondi ed insalate per le pause pranzo.”
“Con i tempi che corrono,” l’interrompe una delle nonne, “non si può mica aspettare la manna dal cielo. Noi a queste favole del reddito di cittadinanza non ci crediamo. Abbiamo sempre lavorato ed il nostro reddito ce lo siamo guadagnate con impegno e dignità.”
Anche l’altra ragazza vuole dire la sua. “Siamo brave, abbiamo molte idee, ma sopratutto dobbiamo ringraziare i nostri genitori che ci hanno fatto studiare e le nostre nonne che stanno credendo in noi. Questo piccolo bar è solo il primo passo.”
Mi è sembrato giusto raccontare questa storia perché credo che racchiuda in sé i problemi e le soluzioni di cui si parla più spesso in questa difficile fase storio-economica del nostro Paese.
Nella vicenda delle due ragazze e delle loro nonne c’è il rispetto, la dignità, il senso della famiglia, la preparazione, la collaborazione, la solidarietà tra parenti e tra generazioni; in questa vicenda c’è l’impegno, la programmazione, la stima reciproca, la fiducia, la speranza.
Se la Sicilia avesse tante nonne e tante nipoti che la pensassero come quelle della storia che ho appena raccontato sarebbe una regione diversa, migliore, meno messianicamente legata al fato.
Questa Sicilia a cui penso, però, non può essere affidata al caso, si deve preparare, si deve sorreggere, si deve tanto aiutare.
Io credo che la materia prima non manchi, credo che la voglia di fare vi sia, ma deve essere sostenuta dalla politica e dalle istituzioni, che non possono più essere dormienti o latitanti, che non possono più essere prigioniere di partiti fini a se stessi piuttosto che al bene comune.
Sono convinto che tutto questo non sia impossibile se saremo capaci di puntare su noi stessi, cioè sulla nostra responsabilità, sulle nostre competenze e sulle nostre risorse, ma soprattutto se sapremo rivendicare, con dignità ed orgoglio, ciò che ci spetta: strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, reti idriche, reti elettriche e di telecomunicazioni, scuole, impianti sportivi, ma anche burocrazia e giustizia efficienti.
Uscendo da quel piccolo bar, in cui ho incontrato il modello ideale di cittadini siciliani ed in cui ho consumato un eccellente caffè, mi sono augurato che, spero presto, molte di quelle meravigliose nonne e moltissime ragazze come quelle che avevo appena conosciuto potessero guidare le sorti della nostra regione.
Subito dopo, però, ho pensato che la speranza, come qualsiasi altra cosa su questa terra, cammina sulle gambe degli uomini e delle donne di buona volontà, dunque ho affrettato il passo, sono tornato a casa ed ho cominciato a scrivere questo articolo.
Insieme alla buona volontà ed alla competenza, infatti, ci vuole una forte dose di conoscenza, quella necessaria per consentire a tutti di sapere che si può fare; ma soprattutto per sapere che: tra il dire e il fare non c’è di mezzo il mare, ma il cominciare.