Le fasi e le scelte della politica alle quali assistiamo in questo grottesco periodo della storia del nostro Paese hanno del paradossale, ma siccome bisogna saper cogliere ogni opportunità, anche quelle che sono figlie dell’incompetenza o dell’egocentrismo, è opportuno saper fare di necessità virtù. 

Le dimissioni del Ministro Lorenzo Fioramonti, ad esempio, non devono essere sprecate discutendo del personaggio, del suo curriculum o dell’impatto sull’attuale Governo, com’è stato fatto immediatamente, persino dopo la nomina dei suoi successori (ben due al posto di uno). 

Al contrario, sarebbe più opportuno un serio dibattito fondato sugli elementi analitici riguardanti l’efficienza del nostro modello di istruzione, vale a dire il settore a cui il ministro ha badato fino alla conclusione della sua esperienza di governo. Il capitale umano, infatti, rappresenta la risorsa più preziosa, forse l’unica rinnovabile, del nostro come di qualsiasi Paese al mondo. 

Ma cosa ci dicono, in tal senso, i dati? Il confronto con gli altri stati europei si può evincere dalla recente analisi dell’Ocse, fondata sulle interviste effettuate a quasi 12.000 quindicenni italiani. Dall’analisi emerge che uno studente su quattro non ha le competenze minime di lettura di un testo e che solo un quindicenne su venti riesce a distinguere i fatti dalle opinioni, una circostanza molto grave per la garanzia dei livelli essenziali di democrazia e di civismo. 

Più nel dettaglio, i dati Ocse rivelano nuovamente come la situazione del Sud sia mediamente ancora peggiore: senza investimenti e senza personale è difficile che si possa crescere! Tuttavia, ragionare solo sulla quantità delle risorse, senza esaminare la qualità della formazione erogata, gli assetti organizzativi delle istituzioni formative e i modelli di finanziamento tra pubblico e privato paritario, rischia nuovamente di alimentare un dibattito fuorviante.

Nelle scuole primarie e secondarie italiane spendiamo, per ciascuno studente, pochi punti percentuali meno della media Ocse, ma produciamo risultati largamente inferiori. Significa che spendiamo male. Alla spesa pubblica, poi, va sommata quella privata, ad esempio, che spreca quattrini in quella falsa editoria dei libri di testo, sconosciuti in larga parte delle scuole moderne. 

Il ministro Fioramonti si è dimesso perché voleva potere spendere più soldi. Aveva le idee chiare su dove prenderli, tassando merendine e bibite, facendo così pagare agli studenti i maggiori costi che ne sarebbero derivati, ma non ci ha fatto sapere dove e come contava di indirizzarli. Adesso, purtroppo, non lo sapremo mai, ma possiamo immaginarlo conoscendo la vocazione fortemente centralistica del governo in carica. La cosa non ci turba più di tanto, questa gente sa solo tassare e sprecare, tuttavia è bene sapere ed è bene capire.

Nel settore universitario, invece, spendiamo meno della media Ocse, ma prima di correre a concludere che sarebbe bene spendere di più sarà opportuno considerare la seguente realtà: abbiamo la più bassa percentuale di laureati fra i Paesi sviluppati, senza disporre però di una università meritocratica e selettiva. Detto in modo diverso: i giovani, all’università, ci vanno poco e male, forse perché non riescono a rendersi conto di quale sarà il loro reale sbocco alla luce del livello di istruzione che hanno ricevuto.

Sia nelle scuole, sia nelle università, però, per fortuna, abbiamo bravi studenti, come ottimi esempi di funzionamento e insegnanti che fanno bene il loro mestiere, ma li trattiamo allo stesso modo di chi non fa nulla, di chi, a scuola, tende ad andarci il meno possibile e arriva in cattedra grazie a cordate che non hanno nulla di culturale. 

Per sedare le folle continuiamo a sentire che si faranno i concorsi, ma non smettiamo di assumere da graduatorie ad esaurimento, che la sola cosa che hanno esaurito è il senso del ridicolo e l’orrore per la persistente violazione della Costituzione. Oltre che a moltiplicare l’ignoranza in cattedra e diffonderla fra i banchi. 

Questa lunga premessa per sostenere che il primo problema non è affatto spendere di più, ma riorganizzare il tutto, spesa compresa, per riuscire a spendere meglio. Ma ciò, appunto, è noioso, niente affatto spettacolare perché, in questo genere di modello politico e comunicazionale, in cui il populismo conta più del popolo, il vento che purtroppo non  soffia è quello dell’innovazione e del merito, un vento che oggi è troppo leggero e non provoca alcuno spostamento, né alcun interesse organizzato: neanche quello della scuola e dell’Università.