Mai come in questo periodo storico si stenta a rendersi conto di due concetti tanto chiari quanto, forse, banali: una pianta senza radici muore; un frutto non cade mai lontano dall’albero che lo ha generato. 

Eppure, nonostante la lapalissiana chiarezza di quanto appena sostenuto, appare di tutta evidenza la difficoltà che la classe dirigente del Paese sta incontrando nella gestione ordinaria non solo delle istituzioni, ma anche delle funzioni più semplici e indispensabili per una qualsiasi società che abbia la velleità di definirsi civile. Proverò ad essere ancora più chiaro.

Senza infrastrutture non si può ipotizzare nessun tipo di sviluppo; senza la conoscenza delle nostre radici non è possibile comprendere ciò che, nel bene e nel male, abbiamo generato, né cosa siamo stati nell’arco della storia; senza onestà intellettuale e legalità nei comportamenti nessuna convivenza è possibile; senza responsabilità nessuna distorsione potrà essere corretta; senza la tutela e l’uso delle nostre risorse non si potrà creare lavoro; senza competenza non c’è efficienza.

Nonostante tutto questo sia molto chiaro, vorrei dire quasi ovvio, c’è chi pensa di essere estraneo alla storia, alla legalità, alla responsabilità, allo sviluppo e c’è qualche altro che pensa che i passi che ciascuno ha il dovere di compiere, in direzione del miglioramento della qualità della vita e della civiltà, debbano compierli altri e non noi stessi, per quello che possiamo e dobbiamo, dato che da Kripton non risulta essere ancora pervenuto nessun Superman.

Tuttavia, esistono persone, e purtroppo sono tante ed in continua crescita, che si ritengono estranee al contesto sociale, anzi, che ritengono estraneo il contesto sociale al loro modello di vita. Si tratta di persone che usano il lamento ed il mugugno come strumento di azione politica, pensano che bastino, che siano i soli mezzi di cui si possa disporre, ma ignorano la proposta, la partecipazione e soprattutto ignorano il concetto di responsabilità insito nel concetto di libertà. 

Questo genere di persone sono convinte che vi sia un’entità astratta e non meglio identificata alla quale ci si debba rivolgere, di volta in volta, per risolvere il problema dei rifiuti, quello della disoccupazione, quello dell’inquinamento atmosferico, quello del traffico, quello della sanità, quello della scuola, quello del costo della vita, quello della pace nel mondo e persino quelli che riguardano il nostro privato: i vicino di casa troppo rumoroso, i figli che marinano la scuola, la suocera che sta male, ecc. 

Ebbene, spiace doverlo comunicare con siffatta brutalità: questa entità non c’è, non esiste, nessuno l’ha mai vista, non certo nella forma auspicata dalle persone alle quali si faceva prima riferimento. 

Al contrario, in uno stato liberale e democratico, come quello in cui, almeno formalmente, viviamo, esistono le istituzioni che vengono elette dai cittadini ed alle quali i cittadini stessi hanno delegato la soluzione di quei problemi di cui si è detto, sulla base di un sistema normativo prodotto attraverso meccanismi che rispettano i principi democratici fondati, tra l’altro, sull’equilibrio dei poteri e sulla rappresentatività popolare, non certo sulla giustizia che si piega al giustizialismo. 

Bisogna, però, sottolineare un aspetto che, qualche volta, si da per scontato e qualche altra si finge di ignorare: il presupposto perché tali istituzioni funzionino e rispondano alle varie esigenze legate ad un’adeguata convivenza civile è che vi si partecipi, altrimenti ci si potrà soltanto lamentare. Ma siamo sicuri che non sia proprio questo ciò che qualcuno vuole sul serio?

Siamo certi che le persone alle quali si faceva prima riferimento non vogliano affatto contribuire a migliorare la situazione perché, al contrario di quanto non sia logico pensare, preferiscono vivere di disservizi, di disinteresse, di disordine?

Ecco: partecipare corresponsabilizza, non partecipare deresponsabilizza. Partecipare ci obbliga ad avere idee sensate, non partecipare ci permette di fantasticare. Partecipare ci impone il dovere di conoscere e di studiare, non partecipare ci consente di poter affermare: questo lo dice lei, come ha fatto, tempo addietro, un vice ministro all’economia che non riusciva a sostenere una conversazione di livello con un docente universitario.

Noi siciliani vogliamo continuare a lamentarci improduttivamente o vogliamo partecipare? È nella risposta a questa domanda che risiede la capacità della nostra terra di uscire dalla condizione di disastro nella quale si trova oggi. Proviamoci!