di Alberto Pasqua

La riforma delle Pubblica Amministrazione è una voce del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR (resilienza è un termine mutuato dalla tecnologia dei materiali e significa resistenza all’urto) a cui il Governo italiano dovrà dar corso per l’accesso al Recovery Fund europeo, letteralmente Fondo di Recupero o, se si preferisce, Fondo di Ripresa. Il Fondo rientra nel più ampio quadro del Next Generation EU (la nuova generazione di cittadini europei) post-pandemico, e prevede un investimento complessivo di 1.750 miliardi di euro di cui 750 in bond comunitari e 1.000 a budget (Quadro Finanziario Pluriennale QFP). Allo stato membro Italia sono dati da spendere oltre 200 miliardi.
I quattro assi portanti della riforma della Pubblica Amministrazione, indicati nel PNRR predisposto dal governo, sono: “Accesso al pubblico impiego” (competenze degli assunti, corrispondenza ai fabbisogni degli enti e snellezza nelle procedure di reclutamento), “Buona aministrazione” (semplificazione burocratica interna e della risposta al cittadino), “Competenze” (formazione, crescita e valorizzazione dei dipendenti), “Digitalizzazione” (interna e nell’interlocuzione con l’utenza).
Fatta questa sintetica premessa prospettica, non appare inutile soffermarsi sul come ancor oggi si pongono gli enti pubblici (ad esempio il Comune, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, l’Agenzia del Territorio, ecc.) sotto il profilo amministrativo e nel rapporto con il cittadino.
La burocrazia, diceva Weber, è essenziale al funzionamento di uno stato (e del sistema capitalistico; egli metteva anche in guardia dalla statalizzazione dell’economia e quindi dalla burocratizzazione dell’impresa), purché non debordi dai suoi compiti, non invada la sfera privata e non comprima la libera determinazione del cittadino.
Non bisogna inoltre dimenticare che l’azione amministrativa è solo un servizio con garanzia d’imparzialità e di legalità per tutte le attività che incidono sul pubblico interesse. Né bisogna ignorare che la complessità procedurale, compreso il cammino (iter) fra più enti, alimenta la corruzione; nelle complicazioni e nelle lungaggini, il pactum sceleris diventa un buon affare sia per il corrotto sia per il corruttore.
Una burocrazia oppressiva e capillare non è da Paese libero, bensì espressione e strumento di un sistema di governo che si fa antitetico alla sovranità popolare e ai diritti della persona; la responsabilità di una rete fitta e nera di obblighi, divieti, vincoli, leggi, regolamenti, circolari e sanzioni, coltre civile pesante calata sulla cittadinanza, ascende agli organi decisori centrali (legislativo ed esecutivo).
Sono i fautori dello statalismo e del collettivismo, di destra e di sinistra, i non liberali, a propugnare un assetto ordinamentale di tal fatta, fondato sul dominio incontrastabile e arbitrario dei pubblici poteri, sull’anteposizione dello stato al cittadino, sulla sacrificabilità delle iniziative dell’individuo. L’italia non è un paese liberale laddove in campo fiscale, burocratico e giudiziario, oltre al calvario dell’utente agli sportelli e agli uffici pubblici, si giunge, nei fatti e nella forma, e a mo’ d’esempio, all’inversione dell’onere della prova, alla presunzione di responsabilità e alle norme retroattive.
I problemi (oggi s’usa dire “problematiche”) della pubblica amministrazione non si pongono come tali solo nelle relazioni esterne, con il pubblico; sono diventati, ormai da un paio di decenni, anche interni agli uffici, in ordine alla responsabilità civile e penale del dipendente. Vero è che tale responsabilità è già prevista in Costituzione (art. 28), ma è anche vero che già dagli anni Novanta (Tangentopoli, varie normazioni anticorruzione e la crescente complicazione di norme e regole procedurali) hanno messo il funzionario e il dirigente in condizione di timoroso (per non dire terrorizzato) stallo: sempre più spesso gli capita che, avanti o indietro che vada, oscilli tra l’abuso e l’omissione; a spulciare negli atti amministrativi, dato il groviglio di leggi (si pensi agli appalti), si trova sempre un’illegittimità, una violazione, un’illiceità o un reato. I “colletti bianchi”, segnatamente da “Mani pulite” in avanti, sono diventati, anche giustamente, buoni attrattori dell’azione requirente, e l’assoluzione, se arriva, si fa attendere per anni. Anche il più benintenzionato dei funzionari è tentato dall’amletico dubbio: firmo o fermo? Anche in questo senso è necessaria la riforma: la semplificazione, la chiarezza, i nitidi e inequivocabili tracciati procedimentali sono utili non solo a chi chiede una prestazione amministrativa ma anche a chi deve fornirla. Si tolga l’acqua ai mestatori.