Oltre ad aver sottratto al Mezzogiorno, ed alla nostra regione in particolare, risorse di dimensione incalcolabile, la politica centralistica e partitocratica sorretta dalla finanza speculativa, con la riduzione dei parlamentari sottoposta a referendum, punta ad indebolire la rappresentanza popolare, soprattutto per la Sicilia e per il Sud, dato che sono queste le uniche parti d’Italia che perdono significativamente popolazione e quindi seggi. 

Chi vota sì al referendum per il loro taglio, grazie ad un sistema di informazioni pilotate e distorte, è portato a confondere la partecipazione democratica voluta dai padri costituenti, che bisogna mantenere alta e qualificata, con il livello della competenza degli eletti che, a causa delle scelte assurde che vengono compiute ogni giorno, in tutti i campi, dai falsi rinnovatori, è veramente basso e sta contribuendo a distruggere la vita e l’economia del nostro paese. 

Appare di tutta evidenza, infatti, che un parlamentare ogni 100.000 abitanti, se ben preparato, garantisca un livello di democrazia e di partecipazione maggiore di uno ogni 150.000 abitanti, soprattutto se questo è scelto per fede e non per capacità.

Per tornare ai numeri, la Sicilia, nella condizione in cui si trova, nel prossimo Parlamento eleggerà soltanto 15 rappresentanti alla Camera, anziché 25, nella circoscrizione occidentale e soltanto 17, in luogo degli attuali 27, nella Sicilia orientale. Nel primo caso la contrazione dei deputati eletti dai territori è pari al 40%, nel secondo arriva al 37%. Al Senato si passa da 25 a 16 eletti siciliani (-36%).

Insomma, la nostra regione, grazie a questa partitocratica manovra di palazzo, potrebbe perdere ben 29  rappresentanti in seno al Parlamento. Si potrebbe dire che si tratterebbe di 29 nullafacenti in meno, ma non sarebbe del tutto esatto, dato che si trascurerebbe il dettaglio per il quale, in un modo o nell’altro, qualcuno, questi nullafacenti, li ha eletti, utilizzando un sistema che riduce il potere di scelta del corpo elettorale, trasferendolo ai partiti, anzi, a ciò che essi sono ormai ridotti ad essere: segreterie personali dei vari leader e delle ristrettissime oligarchie che li guidano. 

In quanto, poi, al risparmio economico, si tratta veramente di meno di una mancia. Secondo i calcoli ufficiali, infatti, il cosiddetto taglio provocherebbe un contenimento dei costi pubblici pari al prezzo di un caffè all’anno per ciascun italiano. Insomma, personalmente ritengo he la democrazia e la rappresentatività valgano molto ma molto di più di un caffé all’anno, posto che esse siano reali e non fittizie, come purtroppo accade oggi. 

Altra cosa sarebbe il tema riguardante la legge elettorale, vale a dire il criterio attraverso il quale i cittadini scelgono i propri rappresentanti. Ma per questo tipo di disposizioni non serve cambiare la Costituzione, tant’è che di modifiche in tal senso se ne sono fatte parecchie, ma tutte lontane dallo spirito partecipativo originario auspicato dai padri fondatori della nostra Repubblica. 

Ogni modifica, infatti, non aveva affatto lo scopo di rendere pieno il sistema della rappresentanza democratica, bensì quello di rafforzare i gruppi di potere interni ai vari partiti, riducendo le possibilità di scelta del corpo elettorale che, votando una lista, esprimeva, ed esprime ancora, anche non volendolo, una scelta legata ai nomi collegati a quella lista, non a ciascuno di essi ma all’insieme dei suoi componenti, nell’ordine stabilito dalle varie segreterie. 

Legare l’inefficienza del sistema della rappresentanza alla quantità dei rappresentanti, facendo di tutta l’erba un fascio, serve soltanto a coloro i quali hanno avuto, e con la riforma sottoposta a referendum avrebbero ancora di più, il potere di indicare gli eletti, non sulla base del gradimento che essi avrebbero da parte degli elettori ma di quello dei loro leader. 

Anzi, a quel punto, proprio i leader avrebbero tutto l’interesse di garantire l’elezione non a uomini liberi, espressione del loro territorio e delle attese che esso manifesta, ma ad uomini vincolati ai diktat degli oligarchi di partito, che li hanno collocati nelle liste in posizioni utili a garantirgli l’elezione. 

Insomma, con la riduzione del numero di parlamentari non solo avremmo territori, soprattutto quelli più piccoli e più periferici, del tutto privi di rappresentanza, ma avremmo pure deputati e senatori sempre più frutto dei condizionamenti dei gruppi di potere interni ai partiti e non del consenso popolare.

Ciò che temo, proprio per la nostra Sicilia, è un Parlamento composto di servi, nani e ballerine piuttosto che di capaci e riconosciuti rappresentanti del popolo, che in questo modo verrebbe ulteriormente privato della sovranità che gli spetterebbe costituzionalmente.