Si potrebbe pensare che l’accostamento indicato nel titolo sia ardito, ma forse, dopo un’attenta analisi delle vicende politiche che stiamo vivendo, lo sembrerà meno di quanto non si possa pensare, anche alla luce delle incompetenze istituzionali e degli espropri subiti dalla Sicilia e dal Mezzogiorno d’Italia a favore del Nord negli ultimi dieci anni, pari ad oltre 800 miliardi: una enormità di risorse, che avrebbero permesso di fare ben più di un ponte e ben più di un anello ferroviario o autostradale.
Il meccanismo arguto, che gli esperti nel furto con destrezza, il cui covo si trova presso il Ministero dell’economia, guidati dal vertice politico che li dirige, è quello legato alla quantificazione della spesa storica, che si è applicato subito, per definire il fabbisogno finanziario delle varie regioni, ed i fabbisogni standard, il cui metodo di calcolo, molto pretestuosamente, stenta ancora ad essere precisato e pertanto, con la complicità tacita del governo regionale, non è entrato in vigore.
L’effetto di questo diabolico sistema, che lega l’inefficienza burocratica, alla tendenziosità politica, ed al servilismo partitico, produce un risultato straordinariamente disastroso per il Sud ed estremamente vantaggioso per il Nord. Grazie alla doppia velocità con la quale si muovono la spesa storica ed il calcolo dei fabbisogni standard, infatti, i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri diventano sempre più poveri.
Tutto questo avviene con la complicità o con l’incapacità dei governatori delle regioni meridionali. Ecco il motivo per il quale i Vice Viceré, come vedremo, c’entrano eccome, poiché le dinamiche, prone e vigliacche, su cui poggia l’esproprio di cui si è appena detto, sono esattamente le stesse di sempre, dai Viceré in avanti, fino ad oggi, anche se chi dovrebbe non se ne avvede. Ma veniamo al dunque.
Rileggendo i commenti giornalistici riguardanti la presenza di un manipolo di siciliani alla tradizionale adunanza leghista di Ponte di Legno, infatti, viene in mente un vecchio libro che varrebbe la pena di distribuire alle giovani generazioni per renderle edotte di quanto nessuno gli racconterà mai.
Si tratta de “I vice viceré”, del compianto Gaetano La Terza, ex deputato regionale del Movimento Sociale Italiano degli anni ’60 e ’70, uomo dal carattere orgoglioso quanto ironico e pungente che, a differenza dei suoi pavidi eredi, l’aveva vista lunga.
Il testo è un affresco degli ospiti di Sala d’Ercole e dello stesso La Terza, che non manca di scherzare anche su di sé, descrivendo i parlamentari regionali siciliani come, appunto, i Vice Viceré di una regione che smise di essere regno e di essere realmente autonoma alla metà del 1400.
Tutto questo nonostante le interessanti esperienze di autogoverno che si erano avute poco prima, a partire da Federico III e dalla di lui consorte, Eleonora d’Angiò, subito dopo la travagliata Pace di Caltabellotta e la proclamazione di Federico come Re di Sicilia, con l’appoggio entusiasta dell’aristocrazia del tempo.
Ma che c’entrano Tano La Terza e i Vice Viceré con l’adunanza leghista? Ebbene c’entrano, nella misura in cui la classe politica siciliana di oggi, invece di dar vita ad un soggetto sinceramente ed autenticamente sicilianista e meridionalista, magari affidandosi a mani e menti esperte, piuttosto che a mitomani sconfitti dalla storia o a delinquenti; invece di lavorare per un soggetto politico forte, in grado di dialogare sia con i partiti nazionali, come il PD o Forza Italia, sia con quelli pseudo federalisti come, appunto, la Lega, preferisce mettersi sotto l’ala protettrice di quest’ultima, sull’onda lunga di una sorta di falso populismo molto pruriginoso, fino ad affidargli un assessorato emblematico come quello all’identità siciliana.
In fondo, tra gli ospiti siciliani di Ponte di Legno, per carità, strumentalmente ben accolti dai leghisti veri, e gli ascari della prima e della seconda Repubblica targati DC, PCI, PSI etc., pronti a votare per disposizione di partito, piuttosto che nell’interesse del popolo che li aveva espressi, la differenza è assai modesta e non risiede nel colore, più o meno giallorosso, del sangue che scorre nelle vene di ciascuno, come vorrebbero far credere alcuni ingenui sicilianisti, ma nella capacità di essere efficaci e trasparenti nell’azione che si intende porre in essere.
Vice Viceré erano quelli degli anni del dopoguerra e seguenti, prigionieri della partitocrazia filo settentrionalista, e Vice Viceré sono questi di oggi, alla vergognosa ricerca di un re di cui essere vice, ma di livello intellettuale e politico drammaticamente assai più modesto dei primi.
E’ molto amaro fare queste considerazioni, soprattutto per chi le sfide al potere centralistico partitico ed istituzionale le ha fatte in prima persona, pagandole a caro prezzo, ma tant’è!
In attesa di non essere più vice di nessuno, in attesa che si riesca ad andare oltre l’esame del colore del sangue, speriamo molto presto, questo è ciò che passa il convento. Cambiare in fretta e ridiventare Re, non Viceré, ovvero artefici del proprio destino, se lo vogliamo davvero, spetta soltanto a noi!