Il fatto che la giustizia italiana sia piuttosto malmessa e che raggruppi in sé molti dei mali della nostra acciaccata Repubblica non credo che rappresenti una novità. Adesso, però, ci sono i dati che confermano quella che purtroppo, fino ad oggi, era stata soltanto una sensazione ampiamente diffusa.
Secondo una recente indagine promossa da Confindustria, e sostanzialmente confermata dall’Ufficio studi della Banca d’Italia, infatti, la “malagiustizia” costa al nostro Paese circa il 4,9% del Prodotto Interno Lordo, vale a dire tra i 15 e i 18 miliardi di euro l’anno.
Si tratta di una somma straordinariamente alta, soprattutto se vi si aggiungono, ad esempio, i circa 3 miliardi iscritti nel malconcio bilancio dello Stato alla voce carceri!
Se poi a queste eloquenti cifre si affiancano quelle riguardanti il numero totale di reclusi, circa 59.000, la percentuale di essi che sono ancora in attesa di giudizio, dunque formalmente innocenti, circa il 42%, e i tempi di durata dei processi, che in alcuni casi superano persino i 20 anni, ci rendiamo subito conto che l’autoreferenzialità e lo sfascio del sistema giudiziario sono del tutto incompatibili con un Paese civile!
Al di là degli aspetti meramente legali, al di là delle ripetute sanzioni che l’Italia è costretta a pagare a causa delle lungaggini della sua giustizia, delle penose e poco dignitose condizioni del sistema carcerario e dell’incertezza che questo stato di cose determina nella vita del Paese, quale investitore straniero si sognerebbe mai di spendere un solo centesimo per aprire un’azienda dalle nostre parti?
L’incertezza del sistema giudiziario italiano, unito all’intangibilità dei suoi esponenti, unica casta ormai rimasta sperequatamente in piedi, ha trasformato l’Italia, un tempo patria del diritto, nella terra in cui, purtroppo, nulla è certo: nessun diritto può essere considerato realmente tale e nessuno, tranne i magistrati, in quanto giudici di se stessi, può considerarsi sicuro della legalità dei propri comportamenti.
Ma se ciò non bastasse, nella piena consapevolezza della vulnerabilità del vigente modello giudiziario e dei suoi costi esorbitanti, si abbassa sempre di più la stima dei cittadini nei confronti di questa istituzione, dunque dello Stato, che ne tollera vizi e privilegi, che non riesce né a tagliare, né a riformare, né a controllare!
Come si fa a considerarsi soddisfatti di una magistratura che paralizza tra i 4 e i 5 milioni di procedimenti impiegando anni, anzi decenni per la loro definizione?
Come si fa a stimare una magistratura che esprime uomini che saltellano da un talk show all’altro, da un convegno all’altro, da una consulenza all’altra, da una commissione di collaudo all’altra, piuttosto che studiare i casi a loro assegnati?
Nulla accade per caso, però! Infatti, proprio i magistrati sanno per primi che la loro è diventata una posizione difficile da difendere restando protetti dalla propria trincea. Ecco perché, già da tempo, hanno deciso di saltare la barricata e di passare dal terzo al primo e al secondo potere, entrando direttamente in Parlamento!
Le “toghe” fanno il loro gioco con sempre maggiore spregiudicatezza, con tutele dirette e trasversali note e del tutto intollerabili!
Chi non riesce a fare il proprio è invece la politica: incapace di rigenerarsi, incapace di reagire, incapace di interpretare con competenza le istanze popolari, incapace di tutelare lo spirito costituzionale della piena separazione dei poteri.
Ma la politica non è certo un ectoplasma dalle origini indefinite: essa, sia pure con le nefandezze della vigente riforma elettorale, è espressione del popolo.
Il popolo, però, crede che l’unico modo che gli sia rimasto per far valere la sua voce non sia cantare ma tacere, con ciò aumentando il potenziale sonoro di chi si gioverà del non voto!
È difficile la fase che stiamo attraversando, ma lo sarà ancora di più se il corpo elettorale diventerà sempre più rachitico e afono. Lo sarà di più se la malagiustizia sarà l’unica giustizia possibile e se la burocrazia, approfittando della proditoria ignoranza dei politici mal selezionati, piuttosto che al Paese guarderà a se stessa.