Dopo Gianni De Michelis, ma a trent’anni di distanza da lui, dopo un lunghissimo silenzio istituzionale, anche il governo nazionale in carica ha scoperto che al Sud e soprattutto in Sicilia sono presenti i più vasti giacimenti ambientali, artistici e culturali del mondo.
Sin qui nulla di nuovo, la notizia è più che nota, così come non è affatto originale la polemica strumentale secondo la quale la colpa della mancata, o scarsa, utilizzazione di un così importante tesoro sia dei meridionali e dei siciliani, come sempre, incapaci di badare a se stessi.
Insomma: cambiano le epoche, cambiano le maggioranze, cambiano i governi, cambia il modo di comunicare, ma resta intatta la stupidità che contraddistingue l’analisi interessata circa le reali condizioni del Sud e le sue effettive possibilità di sviluppo economico ed occupazionale.
Gli illustri analisti e gli altrettanto illustri politici susseguitisi ai vertici del Paese dal dopoguerra ad oggi, infatti, mentono sapendo di mentire e continuano a condurre un gioco sporco, quanto squallido e vergognoso, ai danni di milioni di meridionali che, da sempre, si sforzano di far comprendere a tutti un concetto semplice, forse persino banale: per fruire di un patrimonio, qualunque esso sia, bisogna prima raggiungerlo.
Ecco il punto: il Mezzogiorno e la Sicilia in particolare, è vero, dispongono di risorse enormi in ogni campo, ma non dispongono di quella essenziale rete infrastrutturale che consentirebbe loro di metterle a profitto, di trasformarle in PIL, di valorizzarle come accade altrove.
Pompei, l’Etna, Capri, il Gargano, Matera, Ibla, le Eolie, le Egadi, la Villa del Casale, la Valle dei Templi, l’Alcantara, ecc. rappresentano certamente delle opportunità straordinarie di turismo, dunque di economia e di lavoro, ma a certe condizioni: devono essere raggiungibili, devono affrire supporti logistici e professionalità adeguati.
Passando dalle ipotesi progettuali alle responsabilità ed ai comportamenti istituzionali, la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale ed ambientale del Sud e della Sicilia devono coinvolgere, ciascuna per le proprie competenze, le autorità locali, quelle regionali e quelle nazionali, in un unico armonico disegno composto di infrastrutture, professionalità ed eventi.
I tre aspetti sono stati messi in quest’ordine non a caso, perché il primo passo da compiere non può che essere proprio quello della realizzazione delle opere necessarie a rendere fruibile il patrimonio di cui si è detto, altrimenti si potrebbe correre il rischio di formale non professionisti ma “disoccupati di qualità” senza alcuno sbocco, non eventi di richiamo internazionale, ma sagre paesane di terz’ordine.
Insomma, se qualche economista della domenica o qualche ministro dell’istruzione estratto a sorte pensa, ancora una volta, di poter scaricare sul Sud o sulla Sicilia la responsabilità di insufficienti politiche di crescita, soprattutto nei settori di cui si è detto, si sbaglia di grosso: noi meridionali abbiamo le nostre colpe, è vero, ma le maggiori risiedono altrove e risalgono all’immediato dopoguerra.
Se le risorse della Cassa per il Mezzogiorno non fossero state sprecate in mille rivoli, privi di qualsiasi nesso logico e non avessero sostituito del tutto l’intervento ordinario, ma si fossero aggiunte ad esso, oggi per percorrere la tratta ferroviaria Catania Palermo non ci sarebbero volute tre ore, cioè lo stesso tempo che si impiega per arrivare a Roma partendo da Milano!
Per rilanciare il Mezzogiorno non ci vuole molta fantasia, né facili ed improduttive elemosine di Stato, ci vogliono strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, reti telematiche e di distribuzione energetica, opere di bonifica e manutenzione del territorio e del patrimonio culturale ed ambientale esistente.
Questo genere di interventi, però, non possono essere gli unici; essi devono potersi muovere di pari passo con la formazione delle professionalità necessarie e degli investimenti, prevalentemente di natura privata, nel campo della residenzialità turistica, della fruizione del territorio, della commercializzazione dei prodotti locali, ecc.
Insomma, non c’è nulla, ma proprio nulla, da inventare, c’è solo da usare un pizzico di buonsenso facendo tesoro degli errori del passato, per non ripeterli, e dell’esperienza degli altri, per trarne profitto.
Purtroppo, però, come avrebbe detto Alessandro Manzoni, “il buonsenso c’è ma si nascose per paura del senso comune”.