di Vito Pirrone

Sulla vicenda giudiziaria che vede indagato Ciro Grillo e tre suoi amici per un presunto stupro avvenuto nel 2019 in Sardegna, si sono svolte delle precise indagini mediatiche, nel programma  televisivo “Non è l’Arena”, condotto  da Massimo Giletti.

In occasione della recente trasmissione, ove Giletti si è occupato specificatamente del  caso   del figlio di Beppe Grillo,  sono stati citati stralci di verbali delle sommarie informazioni testimoniali raccolte dai carabinieri. Considerato che, allo stato, gli indagati hanno ricevuto l’avviso di conclusioni delle indagini e che, peraltro, si deve ancora celebrare l’udienza preliminare per la valutazione del materiale probatorio, talecomportamento non sembrerebbe corretto sia da unpunto di vista giuridico che etico.

Pur tenendo conto che gli atti non sono più coperti, formalmente, da segreto istruttorio, rimane comunque il divieto di pubblicazione fino alla trattazione  dell’udienza preliminare, allo scopo  di tutelare lo svolgimento di un giusto processo dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale, il cui convincimento si deve formare in aula nel principio della parità delle parti.

Invero, l’art. 684 c.p.  prevede la  precisa fattispecie di reato per la pubblicazione arbitraria di atti  di un procedimento penale, anche se la violazione di  tale norma contempla solo l’arresto fino a trenta giorni o una ammenda da euro 51 ad euro 258. 

E’ evidente,  qualunque sia la fonte, che tale diffusione di atti di indagine   inquina il processo.

Il  colmo si è inoltre raggiunto con un episodio singolare nel corso della stessa trasmissione . Si è assistito ad una contestazione formale fatta da  Giletti ad un teste, come se si stesse svolgendo un normale  esame testimoniale durante la celebrazione di un processo in Tribunale. 

Il gestore del b&b, ove hanno alloggiato le ragazze,  vittime dell’aggressione sessuale di gruppo, ha riferito che, dopo quella notte, “erano scosse”. Al che, il conduttore e i suoi ospiti, presenti in studio, hanno contestato allo stesso che nelle dichiarazioni rese a verbale, davanti ai carabinieri, avesse detto qualcosa di completamente diverso ossia che le ragazze “erano felici”.

L’uomo, posto davanti all’ambiguità delle sue parole, ha replicato in maniera confusa, ribadendo la veridicità di quanto riferito ai giornalisti e sottolineando  una eventuale errata  verbalizzazione da parte carabinieri !

È una vicenda fuori  da ogni logica giuridica creare una forma di istruttoria dibattimentale  in uno studio televisivo, dando teatralità ad un atto processuale  significativo che, invero, dovrebbe svolgersi , esclusivamente, nelle sedi  istituzionali  demandate  (le aule dei Tribunali), nelle forme e nei modi  e con le garanzie previste dalla legge. 

Questa spettacolarizzazione del processo penale danneggia il sistema giuridico, la credibilità del processo,  pregiudica  la limpidezza delle prove che dovranno essere acquisite in  fase processuale e creapregiudizi  alle stesse parti processuali, sia imputati che parti lese.

Invero, assistiamo oggi, sempre più di frequentemente,al c.d. processo mediatico, che affianca quello giudiziario e, talvolta, nel sentire comune, ne prende il posto (lo sovrasta).

Ciò è palesemente fuori dei precetti costituzionali relativi al rispetto del                     contraddittorio e  alla  parità delle  parti  nella formazione della prova,  con la conseguenza che la condanna  mediatica,  talora  ben più severa  di quella giudiziaria, è sempre sommaria e perciò ingiusta.

Dovrebbe essere non solo un principio giuridico, ma anche etico, che i processi      vadano celebrati   nei tribunali e non  negli studi televisivi.

Il processo è rispetto delle regole: quello che si svolge fuori dalle aule giudiziarie  non appartiene né all’avvocato, né al diritto, perché non ha regole ed è in antitesi  con la cultura della giurisdizione.

Assistiamo ad  una vera e propria pericolosa   vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto.