Ho sempre sostenuto che il concetto di burocrazia sia molto più ampio del concetto di burocrate: fin qui nulla di nuovo, anzi!
Ho sempre sostenuto pure che la burocrazia costituisca il punto di incrocio di tre altri concetti: le norme, le strutture, i burocrati.
Ho sempre sostenuto, infine, che i burocrati, a loro volta, rappresentino il “front office” della burocrazia, la prima linea, e che costituiscano il legame di un ulteriore terzetto di concetti: la competenza, la responsabilità e l’aggiornamento, ovvero la formazione permanente.
Alla luce di queste brevi premesse, è bene ricordare che quando parliamo di burocrazia, dunque della sua evidente crisi, ci riferiamo ad un insieme di elementi, che vanno dalla legge all’uomo, passando per la politica e le varie strutture serventi.
Non vi è dubbio che la burocrazia risponda soprattutto alle leggi e che i burocrati rispondano soprattutto alla competenza e all’onestà; tuttavia risulta sufficientemente chiaro anche che l’una e l’altra qualità, per affermarsi pienamente, abbiano bisogno di condizioni ottimali, che ne permettano il completo dispiegarsi nelle diverse circostanze.
Per anni abbiamo detto e ci hanno detto, che la Pubblica Amministrazione costa molto e produce poco: è vero, non vi è dubbio che questa sia la diagnosi finale alla quale normalmente si perviene!
Qual è, però, la causa di questa “patologia” strutturale del nostro Paese? Sono le leggi “illeggibili”? Sono le strutture serventi assenti o inadeguate? Sono i burocrati ignoranti o corrotti? È la politica distratta e incompetente? È la scarsa attenzione che si mostra verso validi sistemi di aggiornamento?
Per comprendere fino in fondo l’importanza di quest’ultima esigenza, ad esempio, basti pensare alla quantità di leggi che il Parlamento ed i Consigli regionali varano ogni anno: diverse centinaia, a fronte delle quali sono pochissimi i corsi riservati ai burocrati.
Insomma, a mio avviso, le cause sono tutte quelle indicate e anche altre, legate alla nostra educazione, al nostro carattere, alle nostre buone o cattive abitudini, persino agli inspiegabili arcani umani, di cui ignoriamo l’origine ma dei quali ci lamentiamo solo quando ne siamo vittime.
In questo momento, però, la situazione si è fatta più difficile e comincia ad assumere una dimensione molto più grave di quanto non si pensi. Oggi, infatti, comincia una fase nella quale, oltre ai problemi e alle criticità, già sommariamente indicate, se ne aggiunge un’altra.
Quale? La carenza di personale qualificato, che negli anni non è stato sostituito, a causa di un mal interpretato concetto di contenimento della spesa, o è stato promosso, talvolta anche in assenza di specifiche competenze!
Tra pochissimo tempo, insomma, ci troveremo con una Pubblica Amministrazione carica di vincoli, che essa stessa non riuscirà a far rispettare, provocando una pericolosissima esplosione del “fai da te”, cioè a dire dell’abusivismo: non solo quello edilizio, bensì quello presente in ogni settore del complesso e farraginoso scheletro burocratico che resterà in piedi.
In Sicilia, ad esempio, le ultime assunzioni di massa risalgono agli anni ‘80, non sono il frutto di selezione concorsuale e riguardano, prevalentemente, personale appartenente a qualifiche intermedie che, con il tempo, si è ritrovato a svolgere mansioni per le quali non disponeva della necessaria preparazione di base.
Gli effetti negativi sono “visibili ad occhio nudo”; ma non basta effettuare la diagnosi di una condizione più che evidente, bisogna tentare di approntare una terapia che sia rapida ed efficiente.
Nel nostro caso, il rimedio risiede tutto nella volontà di intervento del Governo e del Parlamento siciliani, dato che la competenza è tutta della Regione.
Insomma, se la burocrazia della quale ci lamentiamo è quella dei comuni, delle province, degli enti regionali, della sanità o della Regione stessa, la responsabilità del suo scarso funzionamento non è di Roma, né di non meglio identificati “altri”, ma la nostra e di coloro i quali abbiamo scelto affinché svolgessero questo compito!
Certo, è una realtà dura da ammettere, ma guai a non farlo. Se accadesse, staremmo iniziando con il piede sbagliato.
Mi riferisco al tema della responsabilità, che faremmo bene ad introdurre nei nostri ragionamenti, ma anche nei nostri comodissimi, ma sterili, lamenti quotidiani. Noi lo sappiamo benissimo, tuttavia, preferiamo non parlare mai!