di Carlotta Salerno

Con doppia sentenza depositata recentemente, i giudici costituzionali spiegano perché lo scorso 28 gennaio 2021 la Corte ha dichiarato inammissibile due distinte questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Padova e dalla Cassazione.

Con le sentenze n. 32 e 33 del 2021, con le quali la Corte costituzionale si pronuncia sul riconoscimento dello status filiationis nei confronti del genitore, nel caso di nascita a seguito di ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dal nostro ordinamento, ovvero nel caso di ricorso alla gestazione per altri, parimenti oggetto di un divieto penalmente sanzionato ai sensi dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004, la Corte riconosce apertamente l’esistenza di un vuoto normativo in materia, auspicando un sollecito intervento da parte del legislatore.

La Corte evidenzia «il grave vuoto di tutela nell’interesse del minore, nato da fecondazione eterologa praticata all’estero da due donne il cui rapporto, dopo anni, è diventato conflittuale, non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore».
Il messaggio è chiaro: spetta al Parlamento trovare al più presto soluzioni adeguate in tema di omogenitorialità. Anche laddove i diritti del figlio, nato mediante “maternità surrogata”, passano per il riconoscimento di un provvedimento straniero attestante lo stato civile del minore.

Con la sentenza n. 33/2021, relativa ad un caso di doppia paternità, la Corte definisce “ormai indifferibile” l’individuazione di strumenti di tutela della posizione dei nati; mentre nella sentenza n. 32/2021, la Corte precisa che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore”.
Nel caso di figli nati a seguito di ricorso alla gestazione per altri, invece, il bilanciamento operato dalla Corte assume tratti più complessi, dovendo rientrare in esso la considerazione delle peculiarità legate allo specifico modo di concepimento e nascita: sul punto, la Corte non arretra rispetto alla formulazione di un giudizio di disvalore nei confronti della surrogazione di maternità (in linea con la sentenza n. 272/17), facendo da ciò discendere l’impossibilità di dare automatico riconoscimento ai rapporti di filiazione nei confronti del genitore di intenzione e prediligendo piuttosto l’ipotesi del ricorso all’adozione in casi particolari.

Nel primo caso, i giudici veneti, nel provvedimento di rimessione alla Corte Costituzionale, denunciavano il «vuoto di tutela» perché la normativa non consente ai nati tramite fecondazione eterologa, praticata all’estero da due donne, «l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale». Ma secondo la Corte, «spetta prioritariamente al legislatore individuare il “ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana”, per fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore “alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise”, evitando di generare disarmonie nel sistema».
La seconda questione, sollevata dalla Cassazione, riguarda invece il riconoscimento di una sentenza straniera di attribuzione dello stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente, che abbiano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero. La Cassazione aveva rivendicato l’impossibilità di riconoscere in Italia una sentenza straniera di attribuzione dello stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente e che avevano fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero.
Anche in questo caso, si legge nelle motivazioni della Consulta, «l’ordinamento deve garantire piena tutela all’interesse del minore al riconoscimento giuridico da parte di entrambi i componenti della coppia che ne hanno voluto la nascita e che lo hanno poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale». Quindi il richiamo a un «indifferibile intervento» del legislatore, al fine di porre rimedio all’attuale situazione di «insufficiente tutela» degli interessi del minore.
E’ significativo che, in entrambe le pronunce, si affermi con chiarezza l’insufficienza dell’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari ai fini di assicurare piena tutela alle bambine e ai bambini nati in coppie omo o eterogenitoriali a seguito del ricorso a tecniche di p.m.a. non consentite dall’ordinamento italiano o a seguito di ricorso a gestazione per altri, auspicandone un adeguamento in senso “più aderente alle peculiarità della situazione in esame” (così come la sent. n. 33/21), con particolare riguardo alla pienezza degli effetti, al superamento della necessità del consenso del genitore legale, nonché ad una maggiore tempestività ed efficacia della procedura.
Secondo la Consulta, è necessario che il legislatore intervenga per colmare un’assenza giuridica: senza una norma che formalizzi il legame tra bambini e genitori non biologici non è garantita la tutela del minore. La vicenda in questione fa riferimento a un bambino nato nel 2015 in Canada da una madre surrogata, affidato poi a una coppia omogenitoriale. Grazie a una sentenza canadese – paese dove i due uomini si erano uniti civilmente – il bambino era stato iscritto come figlio di entrambi. In Italia, però, questo non è stato possibile.
Pur ribadendosi contro la maternità surrogata, la Consulta ha riconosciuto che in questo modo non viene tutelato l’interesse del minore – che è quello di «ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia». Un concetto che permane a prescindere dal sesso dei genitori: vale anche nel caso di coppie composte da persone dello stesso sesso, «poiché l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale».