di Vito Pirrone
La Corte Costituzionale prossimamente dovrà pronunciarsi sul c.d. “ergastolo ostativo” .
la Corte europea, già seguendo una propria consolidata giurisprudenza in materia di compatibilità dell’ergastolo con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ha ritenuto che la condizione prevista dalla legislazione italiana per accedere alla liberazione condizionale, e cioè la collaborazione con la giustizia, violi i principi della dignità della persona condannata.
La Corte di cassazione, con ordinanza del 18 giugno 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui si esclude che il condannato all’ergastolo per delitti di tipo mafioso che non abbia collaborato con la giustizia possa essere ammesso alla liberazione condizionale. La Cassazione nella sua ordinanza segue l’indirizzo delle recenti sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, e della stessa Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, dell’Ordinamento Penitenziario, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti per associazione di stampo mafioso, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo O.P., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Antigone, intervenendo presso la Corte Costituzionale, ha evidenziato sia la realtà dell’ergastolo ostativo oggi in Italia, che lla contraddizione esistente nel nostro ordinamento tra le disposizioni impugnate ed il principio secondo il quale nessuno può essere obbligato ad autoaccusarsi.
E’ stato sottolineato che in Italia la pena della reclusione a vita è largamente usata e che le relative condanne sono in costante aumento, pur nel calo generale della criminalità, evidenziando che gli ergastolani in regime ostativo sono la netta maggioranza tra coloro i quali scontano la condanna al “fine pena: mai”, infatti, 1250 (ergastoli ostativi) su 1802 (su ergastoli totali) .
Attualmente, nel nostro sistema penale, coloro ai quali è stato comminato l’ergastolo ostativo sono persone escluse da qualsiasi speranza di rieducazione e reinserimento sociale ( in contrasto con gli stessi principi previsti dall’art.27 della Costituzione), salvo che decidano di collaborare, nella maggior parte dei casi, inevitabilmente, autoaccusandosi di ulteriori delitti e mettendo a repentaglio anche la propria famiglia.
Con tale ricorso Antigone ha voluto portare alla attenzione della Corte Costituzionale, che esiste una contraddizione tra un principio generalmente rispettato e previsto dall’art. 274, comma 1, lett. a) del codice di procedura penale e dalla direttiva (UE) del 9 marzo 2016 n. 343, secondo il quale non si possono prevedere misure cautelari personali per il solo fatto che l’indagato sia rimasto in silenzio, rifiutandosi di collaborare, e la situazione del soggetto già condannato ed in esecuzione di pena, la cui posizione viene resa deteriore proprio dalla circostanza esclusa in sede cautelare